XXIX Domenica del tempo ordinario

18-10-2020

OMELIA
XXIX Domenica del tempo ordinario
Andria, Chiesa Cattedrale, 18 ottobre 2020
Leture:
Is 45,1.4-6
Sal 95
1Ts 1,1-5
Mt 22,15-21

La pagina evangelica di questa domenica si chiude con una massima, che è una sentenza molto famosa, infatti la si cita spesso per mille cose: “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”. Ci sono però delle espressioni della Prima Lettura che fanno da contrappunto a questa frase di Gesù; per due volte, infatti, nel brano di Isaia troviamo questa frase che Dio pronuncia: “Io sono il Signore, non ce n’è un altro Dio fuori di me”, poi poco più avanti: “Io sono il Signore, non ce n’è altro”. Come mai Dio insiste nel dirci che Lui è il Signore, non ce ne sono altri. Una delle tentazioni continue che l’uomo ha da affrontare è proprio quella di farsi divinità alternative, di farsi altri dei più accondiscendenti, più comodi, più appaganti almeno sul piano umano.
Vorrei fare degli esempi: quando io vedo che una persona, un ragazzo, un giovane, un adulto, un papà di famiglia è uno sportivo, niente di male, si può essere uno sportivo; ma quando io vedo che un papà, un adulto, un giovane per lo sport consuma tempo, spende denaro, sacrifica a volte famiglia, figli, moglie perché pensa solo a quello, è capace di fare sacrifici immensi, di spendere fior di quattrini per seguire la squadra, poi riceve richieste di aiuto da situazioni di emergenza e lì se la cava con pochi spiccioli, ditemi voi, non è attuale questo discorso?
Da come ci esponiamo con i nostri gesti si vede chi è il nostro Dio. Allora ha ben ragione il Signore quando ci dice: “Ricordatevi che io sono il Signore, non ce n’è altri”. State attenti perché tutti gli altri dei sono argento e oro – dice il salmo – hanno mani e non parlano, hanno occhi e non vedono, sono oggetti, sono cose e in definitiva noi diventiamo il dio di noi stessi, ci autoproclamiamo noi stessi nuovi dei. Insomma l’uomo che si emancipa ritiene di non aver più bisogno di Dio, di poter fare a meno di Dio.
E andiamo dunque al Vangelo dove si parla del rapporto con Cesare, cioè con chi esercita il potere pubblico. Sappiamo bene che può succedere e di fatto succede che riceve il consenso del popolo e dopo crede di essere un padreterno e di aver il diritto di comportarsi in maniera assolutamente spregiudicata, diventa come un dio. Senza dire poi che tante volte il modo stesso di carpire il consenso diventa falso, artefatto, a volte è comprato con artifici ben pensati con furbizia.
Domandano dunque a Gesù: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Al tempo di Gesù la Palestina era governata dall’impero romano, che aveva un sistema di esazione delle tasse esasperante; la gente era letteralmente spremuta per versare soldi che poi andavano nelle casse di Roma che con tutto questo denaro diventava sempre più bella, più ricca di monumenti che tuttora si possono ancora ammirare. Era una realtà palesemente ingiusta e quindi si tratta di un tranello teso a Gesù: se Gesù avesse detto che bisognava pagare, avrebbero detto che era contro il popolo, che era amico degli oppressori; se Gesù avesse detto che non bisognava pagare perché era ingiusto, avrebbero chiesto di esporsi per la verità e la giustizia e di diventare un capo politico, militare, di guidare la rivolta contro i Romani.
Gesù si libera da questo tentativo e chiede di fargli vedere una moneta: “Di chi è questa immagine?”. Sulla moneta c’era l’immagine dell’imperatore, Gesù dice: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Cesare non è Dio, nessun cesare di questo mondo, nessun re, nessun governante è e sarà mai un dio. Quando la politica si ammanta di sacralità è pericolosa. Gli esempi nella storia sono numerosi; perfino le forze naziste dell’ultima guerra amavano dire: “Dio è con noi”, e dicendo che avevano dio dalla loro parte poi si è visto quello che hanno combinato. Allora Gesù con questa sua sentenza ci obbliga a tenere le debite distinzioni. Nessun Cesare sarà mai un dio, un cesare va, l’altro viene, nessun governo è eterno, tutti sono transitori.
Quel date a Dio quello che è di Dio lo comprendiamo. proprio tenendo conto della risposta di Gesù, che fa riferimento all’immagine. Ebbene, il messaggio di Gesù è chiaro: se sulla moneta c’è l’immagine di Cesare, nell’uomo, nel cuore di ciascuno di noi c’è l’immagine di Dio. Gesù rimanda al tema della creazione: quando Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza. Noi siamo immagine di Dio e dunque apparteniamo a Dio, perché vogliamo fare per forza gli orfani, cercando sempre di volerci emancipare da Dio? Si vede quello che succede, si vede come si riduce il mondo a tutti i livelli, a livello di relazioni umane, a livello di giustizia quando Dio scompare dall’orizzonte della nostra vita. Quando si elimina Dio dall’orizzonte dei valori succede di tutto e, quel che è peggio, si giustifica tutto.
É inutile che ci gonfiamo di orgoglio, di presunzione, di perfezionismo, lo sappiamo chi siamo, siamo peccatori, siamo fragili, limitati. E lo siamo tutti! Riconoscere la signoria di Dio significa mettere ogni cosa al suo posto, anche la stessa politica. E camminare sulla via del bene e della giustizia.
Accogliamo dunque questa parola e riflettiamo tirando tutte le conseguenze che ne derivano.