Omelia III Domenica di Pasqua anno A

23-04-2023

Letture:
At 2,14a.22-33
Sal 15
1Pt 1,17-21
Lc 24,13-35

Carissimi,

quello di oggi, il Vangelo dei discepoli di Emmaus, è un racconto che noi tutti possiamo leggere come una traccia della nostra vita e del nostro cammino di fede. Non facciamo molta fatica a immedesimarci in quei due discepoli di Emmaus, i quali fanno un’esperienza particolarissima: è la stessa che noi facciamo ogni volta che veniamo in Chiesa per la messa domenicale. Intanto dobbiamo ricordare un particolare: questo incontro dei discepoli col Signore risorto è accaduto la sera di Pasqua, la sera di quello stesso giorno, così dice San Luca, introducendo il racconto.

Era un giorno speciale, erano accadute tante cose: all’alba – ricordate – la tomba era stata visitata dalle donne del gruppo dei discepoli, ma era stata trovata vuota; poi c’era stato un via vai per andare a vedere la tomba vuota; poi Gesù si era fatto vedere da alcuni.  Nel pomeriggio di quello stesso giorno, dunque, due discepoli tornavano a casa da Gerusalemme ad Emmaus, ed erano tristi. Sì, è vero, era stato detto il fatto della tomba vuota, è vero che alcuni dicevano di aver visto Gesù, però era ancora troppo poco. Tornavano col capo chino, tristi, sfiduciati, angosciati perché avevano riposto tutte le loro speranze in Gesù, ma erano rimasti delusi e tornavano a casa dicendosi l’un l’altro: “Peccato! È stato un bel sogno, ma è finito tutto”.

Lungo questo percorso, Gesù si avvicina, ma loro non lo riconoscono. E questo ci fa pensare: come mai non lo riconoscono? Lo conoscevano così bene! Erano discepoli… Dice San Luca che racconta: “I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”. Perché? Per tanti motivi: prima di tutto perché non avevano ancora aperto il cuore alla fede, perché avevano ancora, su Gesù, una prospettiva troppo umana. Non ci sfugga quel passaggio in cui loro, raccontando le cose a questo sconosciuto, che poi era Gesù, dicono: “Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele, ma sono passati tre giorni e non si è visto niente. È finito tutto!”. Loro non riescono a riconoscere Gesù perché sono un po’ – potremmo dire – raggomitolati su sé stessi, sono chiusi nella loro tristezza, non riescono a guardare in volto questo sconosciuto passante. Gesù accetta la sfida e dice: “Ma come?! Possibile che non avete capito? Nella Scrittura c’era già scritto tutto”. E allora, sempre restando nell’anonimato, Gesù spiega le Scritture. È una liturgia in cammino: Gesù, pazientemente, porta questi due discepoli a rileggere ancora una volta le Scritture per capire. Chissà quante volte le avevano lette! Ma le avevano lette in maniera superficiale, non ci avevano messo il cuore in quella lettura… E non accade un po’ la stessa cosa pure a noi? Quante volte leggiamo pagine della Scrittura? Certe pagine le sappiamo pure a memoria, tante volte le abbiamo sentite… eppure non ci dicono niente. Pagine che noi conosciamo ma che, proprio perché conosciamo, leggiamo con troppa sicurezza, senza lasciarci più interpellare da questa Scrittura. Gesù invece, pazientemente, rilegge lungo la strada ancora una volta le Scritture e i discepoli cominciano a capire, però non lo riconoscono ancora.

Quando lo riconoscono? Quando Gesù accettando l’ospitalità si mette a tavola con loro e ripete il gesto di spezzare il pane. Quando Gesù fa questo gesto, ecco che i loro occhi si aprirono – dice proprio così il Vangelo – si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Non erano passati molti giorni, era la sera di domenica e Gesù aveva fatto quel gesto il pomeriggio di giovedì: aveva spezzato il pane, lo aveva dato loro e aveva detto: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Vedendo questo gesto, i due discepoli capirono, lo riconobbero. Però – il racconto prosegue – appena essi lo riconoscono, Gesù scompare dalla loro vista. È strano! Ora che lo avevano riconosciuto, potevano finalmente conversare con Lui faccia a faccia, si sarebbero finalmente sciolti i tanti loro dubbi…

Invece no! Appena lo riconoscono, Gesù sparisce. Noi, come i discepoli di Emmaus, tante volte vorremmo vedere Gesù: chi di noi non ha sentito, almeno una volta nella vita, il desiderio di vedere Gesù, quasi per convincerci… Sì, noi crediamo, abbiamo la fede, altrimenti non staremmo qui, però certamente ci è capitato qualche volta di provare nel cuore questo desiderio: quanto lo vorrei vedere anch’io, come lo vide la Maddalena, come lo videro gli apostoli nel cenacolo domenica scorsa… Quanto lo vorrei vedere! È un desiderio legittimo, nulla di male.

Il Vangelo di oggi risponde al nostro desiderio. È vero! Gesù non lo vediamo, ma i discepoli di Emmaus lo hanno visto e non lo hanno riconosciuto, dunque non è questione di vedere. Quando lo hanno riconosciuto? Quando ha spezzato il pane. E, appena riconobbero il Signore, allo spezzare del pane, tornarono a Gerusalemme. All’inizio erano stanchi e sfiduciati, ora la stanchezza non c’è più. Hanno visto il Signore, hanno capito, l’hanno riconosciuto e tornano a portare la lieta notizia agli altri discepoli. É importante il fatto che i due discepoli, una volta riconosciuto Gesù, non si intristiscono per il fatto che sparisce, ma con la gioia nel cuore corrono a portare questa novità ai loro amici.

Vedete, carissimi, il racconto dei discepoli di Emmaus assomiglia molto alla nostra vita, soprattutto alle nostre domeniche. Non è forse vero che tante volte noi veniamo a messa proprio come i due discepoli? Facciamo la strada di andata verso la Chiesa a volte stanchi, sfiduciati perché magari tante cose ci hanno deluso, vorremmo quasi non andare, poi, per un eccesso di scrupolo, ci andiamo, magari la prendiamo con comodo, arriviamo un po’ più tardi…, ma andiamo, dobbiamo andare.  Ecco, a volte noi arriviamo in Chiesa proprio come i due discepoli di Emmaus, senza grande convinzione, senza crederci troppo.  Però qui accade qualcosa: la parola di Dio ci viene annunciata nelle letture, poi c’è l’omelia, la preghiera e poi, soprattutto, andiamo alla mensa e si ripete quel gesto. Quale dovrebbe essere il frutto, l’esito? Anche noi, come i due discepoli di Emmaus, dovremmo uscire di qui e fare il ritorno dalla Chiesa a casa felici di aver incontrato il Signore. Portiamo ogni volta, ogni domenica, all’altare il peso delle nostre miserie, delle nostre incertezze, dei nostri dubbi, dei nostri insuccessi, ma partiamo dall’altare, dopo aver mangiato questo pane spezzato, con una gioia dentro che ci porta davvero ad essere tra gli altri annunciatori di questa novità: Gesù è risorto! C’è una nuova vita da annunciare.

Coraggio perciò, carissimi, impegniamoci, mettiamocela tutta perché Gesù è risorto e vale la pena impegnarci per fare con Lui un mondo nuovo! Ecco che, per concludere la nostra riflessione, ci soccorre la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Pietro: “Carissimi, se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio”. Sì, la vita è un pellegrinaggio. E quando si fa un pellegrinaggio, quando si fa un viaggio, noi sappiamo che dobbiamo fare delle soste. Ecco, noi stiamo facendo attorno all’altare una sosta. Ascoltiamo una Parola che viene da lontano, una Parola che fa luce! Mangiamo questo Pane che ci mette la forza di Dio nel cuore! E dopo questa sosta, riprendiamo il cammino con più forza, con più gioia, con più entusiasmo, sicuri che il Signore risorto cammina con noi. Riconosciamo che il Signore è nostro compagno di strada. Lui è con noi, guida i nostri passi, illumina la nostra mente e, soprattutto, sostiene la nostra debolezza.