Omelia IV Domenica del tempo ordinario

30-01-2022

Letture:
Ger 1,4-5.17-19
Sal 70
1Cor 12,31-13,13
Lc 4,21-30

Carissimi fratelli e sorelle,

Oggi, dinanzi alla Parola di Dio abbiamo due aspetti da considerare: di questa Parola noi siamo, prima di tutto, ascoltatori. In secondo luogo, per il battesimo che abbiamo ricevuto, di questa parola noi siamo annunciatori, testimoni. Se fossimo solo ascoltatori della parola e non anche annunciatori, significa che quell’ascolto è improduttivo, non serve a niente, significa che c’è qualche cosa che lo fa scivolare addosso, come quando piove e abbiamo l’ombrello o l’impermeabile e non ci bagniamo. Ecco, molte volte noi di fronte alla parola di Dio siamo così, siamo coperti, la parola di Dio ci arriva, ci scivola addosso, non penetra nel nostro cuore perché abbiamo alzato le nostre difese.

Quali sono le nostre difese? È facile intuirlo: prima di tutto l’orgoglio, che mi fa pensare che quella parola non è a me, ma è agli altri, o che mi fa dire: “Io sto a posto. Non mi devo convertire, non devo cambiare niente”.

Qualche volta diventa una difesa anche la poca considerazione che noi abbiamo della persona che ci offre la parola ed è proprio quello che è successo a Gesù a Nazareth. Quando Gesù è andato nel suo paese, dove era stato allevato, dove lo conoscevano tutti, questi, avendo sentito che in altri paesi, Gesù aveva fatto qualche miracolo, aveva fatto parlare un po’ di sé e mostrano nei confronti di Gesù una sorta di distacco, di distanza, quasi di insofferenza, come dire: “Che vuole, chi crede di essere? Lo conosciamo: è il figlio del falegname”. Gesù intuendo questa difficoltà, aggiunge: “Di certo voi mi citerete il proverbio: medico cura te stesso”, cioè pensa a te, fatti i fatti tuoi. Chi sei tu che devi venire da me a correggermi, a dire che sbaglio?! Come ti permetti?”. Ecco, questa difficoltà Gesù l’ha avvertita, figuriamoci se non l’avvertiamo anche noi! Ed è questo, dicevo, un ulteriore, scudo, un’ulteriore difesa che noi innalziamo di fronte alla parola di Dio. Se non abbiamo stima della persona che ci dona la parola, noi non l’accogliamo; se, per esempio, non abbiamo stima del prete che ci dà la parola di Dio, quello può dire pure le cose più sante del mondo, noi ci siamo chiusi, abbiamo alzato il muro. Se di un catechista o di una catechista noi non abbiamo stima perché pensiamo tutto il male possibile e immaginabile è logico che quella mi può anche presentare la fede nella sua maniera più pura, io sono chiuso, non ho stima. E così fu con la gente di Nazareth, non aveva stima di Gesù, era il figlio del falegname…, figuriamoci!

Dunque della parola di Dio noi siamo ascoltatori ma molto spesso questo ascolto è bloccato dalle nostre difese. Ma poi, vi dicevo all’inizio, della parola del Signore noi siamo anche annunciatori; per il battesimo noi siamo costituiti strutturalmente, direi, profeti di questa parola, non possiamo riceverla e bloccarla, la riceviamo, la dobbiamo donare. E ci chiediamo: Come può avvenire questo? Con l’impegno di vita, con la testimonianza, con la fedeltà. Si vede non perché lo portiamo scritto in fronte, non perché portiamo una divisa o perché abbiamo fama di essere gente che frequenta la Chiesa, non per questo. Si vede che siamo testimoni da come ci muoviamo, da come ci comportiamo nella vita di tutti i giorni, nella casa tra marito e moglie, tra genitori e figli, nella parentela più allargata, nel lavoro tra capo e dipendenti, tra colleghi, nella scuola, tra amici, nel gioco. Insomma, si vede quando uno testimonia qualcosa in cui crede o quando uno non crede a niente, crede solo a se stesso, ai propri comodi, ai propri soldi, ai propri interessi, ai propri piaceri, si vede ad occhio nudo, si intuisce qualche volta. A volte è sufficiente non dire neanche una parola ma già da come ci poniamo di fronte alla vita già testimoniamo il vangelo, la Parola oppure testimoniamo qualcos’altro.

Allora, ecco la riflessione nella sua sintesi: di questa parola noi siamo ascoltatori e dobbiamo liberarci da tutte le difese che impediscono alla parola di penetrare in noi. Poi di questa parola noi siamo annunciatori e anche qui ci sono delle difficoltà da superare, per esempio, la paura di non essere degni, la paura del giudizio e del rifiuto degli altri. Se ragioniamo così, nessuno dovrebbe annunciare la parola. Chi è degno?! Nessuno, siamo tutti della stessa pasta, viviamo tutti nella nostra carne la fragilità della condizione umana. Allora nessuno dovrebbe annunciare? No, non è così! Noi dunque la dobbiamo annunciare la Parola, mettendoci d’impegno per essere fedeli ed essere perciò credibili.

Ma diciamo la verità: la paura a volte ci blocca, la paura di essere derisi, di essere presi in giro, la paura di doverci misurare anche col rifiuto. che uno un bel giorno ti dica: “No, lasciami stare. Non mi importunare con queste tue chiacchiere, non me ne importa niente”, e questo rifiuto ci brucia sull’anima perché noi oggi siamo abituati al successo, non si può fallire, non si può sbagliare e se qualche volta anche l’impegno apostolico, pastorale fallisce, noi non lo accettiamo. Nella prima lettura abbiamo visto Geremia che, essendo un ragazzo, fece presente al Signore la sua paura, il suo timore: “Ma io sono giovane, ma io non so parlare…”. “Vai, non ti preoccupare. Sono con te. Abbi fiducia, non aver paura”, dice Dio a Geremia.

Credo che questa sia la parola che il Signore oggi ci lascia come consegna: “Non aver paura di accogliere la Parola. Non ti preoccupare, non temere. Liberati da tutte le tue difese, abbatti i muri e accogli la Parola; e poi, non aver paura di testimoniarla questa Parola; se ci credi veramente io sono con te e vedrai che certamente qualcosa di bello nascerà”.

Questi, dunque, sono i pensieri che ci mettiamo nel cuore oggi, cari fratelli!