Letture:
Es 32,7-11.13-14
Sal 50
1Tm 1,12-17
Lc 15,1-32
In questa domenica la Parola di Dio ci chiede una cosa sola, di riscoprire e contemplare con rinnovato stupore e con gioia il volto misericordioso del Padre. Il brano di oggi, il capitolo XV del testo di Luca, sembra proprio un Vangelo nel Vangelo, è il cuore, è l’essenza del Vangelo. Ed è una felicissima coincidenza che questo vangelo ci venga proclamato proprio oggi, in occasione dell’Ordinazione Presbiterale di Antonio. Sì, perché da questa pagina del Vangelo in poi tutte le volte che pensiamo a Dio, lo dobbiamo pensare sempre e solo così come ce lo mostra oggi l’evangelista Luca. E quindi, caro Antonio, a questa pagina del Vangelo dovrai continuamente ritornare, per cercare di comprendere in maniera sempre nuova il significato ed il valore del ministero che oggi la Chiesa ti affida.
Proviamo a riflettere insieme: spesso, quando noi pensiamo a Dio ce lo rappresentiamo come il “capo”, il “signore” al quale bisogna obbedire, col timore che se disobbedisci ti punisce; se lo offendi prima o poi, in un modo o nell’altro te la farà pagare. Ecco, questa è l’idea di Dio che fin da bambini ci viene trasmessa. Ma se ci pensiamo bene, questa idea appartiene ad alcune pagine dell’Antico Testamento. Guardiamo infatti la prima lettura: Dio, che ha visto la depravazione del popolo, progetta di punirlo, di distruggerlo. Però Mosè si mette a pregare e dice a Dio in tono confidenziale: “E tu sei capace di distruggere questo popolo? L’hai portato via dall’Egitto, lo hai portato alla libertà e ora lo distruggi?”. E la cosa bella che notiamo è che il brano si conclude con questa nota: “il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo”. Ecco: Dio, dopo che Mosè l’ha pregato, ci ripensa.
Intendiamoci: non è che il Signore avesse bisogno di essere pregato da Mosè, Egli sapeva quello che doveva fare; però è bello vedere questo Dio che s’aspetta che i fratelli preghino per i fratelli, s’aspetta che i fratelli, invece di invocare punizioni, invocano perdono, pazienza, misericordia. Solenne il testo: Dio abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo. Ecco, non dimenticare mai, carissimo Antonio, che il primo compito che ti viene affidato da oggi in poi e per tutti i giorni della tua vita è quello di pregare per il popolo al quale vieni mandato per il servizio presbiterale. Sì, prima di servirli con le opere del ministero ricorda sempre che sei chiamato a pregare per tutti i fratelli, tutti, tutti i giorni, sempre!
Nel Vangelo, poi, le parti si invertono, non è più l’uomo che prega Dio, ma è Dio che prega l’uomo; ma guardate che stranezza, che capovolgimento totale! L’immagine di Dio che ne esce è veramente stupefacente, ci lascia senza parole. Il modo con cui tratta il primo figlio sembra proprio misterioso: Il padre divide i beni, e il figlio minore, con il denaro del padre se ne va. Lui non lo ferma. Però, quando questo figlio va via, non si rassegna all’idea di averlo perso, e lo aspetta tutti i giorni; è lì sul terrazzo con la speranza e il desiderio di vederlo tornare. Ne era certo, il cuore di padre glielo diceva. E così fu. Quando lo vide da lontano, gli corse incontro. Un qualunque padre terreno lo avrebbe aspettato pronto a fargliela pagare, soprattutto per il danno economico arrecato. Invece gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò. Il figlio si era preparato pure il discorsetto, ma non lo lasciò neanche finire, non gli permise di dire: “Trattami come uno dei tuoi salariati, lo portò in casa, e pieno di gioia dice ai servi: “È tornato mio figlio. Uccidete il vitello grasso, facciamo festa”. I servi avranno pensato certamente: “Questo è matto, Almeno una punizione bisognava dargliela”. E forse lo pensiamo anche noi!
Ma la cosa che ancor di più ci stupisce è come il padre si comporta con il fratello maggiore. Il Vangelo dice proprio così: uscì a pregarlo. Ecco, dicevo, nella prima lettura è l’uomo che prega Dio, nel Vangelo è Dio che prega l’uomo: “Ma dai, entra. È tornato tuo fratello, vieni alla festa”. E invece questo fratello elenca tutte le sue ragioni, i suoi titoli di merito in base ai quali non ritiene di dover entrare, facendo così soffrire il padre molto di più di come lo ha fatto soffrire il figlio giovane, quello scapestrato, ma che poi è tornato.
La parabola si chiude con una nota che ci fa pensare: sembra che l’evangelista Luca volutamente l’abbia lasciata aperta, incompleta. Infatti non sappiamo se quel fratello più grande poi è entrato per abbracciare suo fratello; ma tutto il tono della parabola ci fa capire che non entrò, lasciando il Padre nella sofferenza.
Proviamo a pensare, soprattutto tu, caro Antonio, prova a pensare: Perché Gesù sta in croce? Gesù sta in croce perché tanti figli di Dio non accolgono l’invito del Padre ad entrare in casa, a far festa, preferiscono stare fuori a borbottare, a criticare, a giudicare i fratelli, vivono con il dito puntato: “Padre, io sto sempre qui, io ti servo ma ora che questo tuo figlio è tornato…”.
“Tuo figlio”, una parola offensiva, insultante, come per dire: “Vedi che figli hai? Che razza di padre sei?”. E il padre che si lascia insultare, si lascia offendere: ecco l’immagine di Dio! Questo è il nostro Dio, sapete? E noi ci dobbiamo misurare con questo Dio, con un Dio che si lascia insultare, si lascia offendere e tace. Invece di rimproverare, di punire, si fa mettere in croce. E tu, caro Antonio, di questo Dio oggi sei costituito ministro e annunciatore. E lo devi annunciare non solo con le parole che proclamerai quando sarai all’altare o all’ambone, lo devi annunciare, lo devi “far vedere” soprattutto con le tue scelte di vita. E quando sarà necessario, devi esser pronto anche tu a farti mettere in croce. Non pensare di esserti votato ad una vita di successi pastorali.
È un’immagine di Dio che capovolge ogni nostro schema. Questo è il Dio in cui noi crediamo, sapete? Questo è il Dio che ci deve e ci vuole salvare! E proprio perché Dio è così abbiamo motivo di essere sicuri che questa salvezza comunque, prima o poi ci verrà.
Sì, questa è la consolante notizia che oggi ci viene ricordata, che viene an-nunciata soprattutto a te, caro Antonio, come programma della tua vita presbiterale che oggi incominci: Dio non si lascerà sfuggire nessuno dei suoi figli, a meno che qualcuno, proprio come il fratello maggiore della parabola, si ostinerà a non entrare perché non si vorrà sporcare le mani insieme agli altri fratelli che continuerà a giudicare indegni di stare accanto a lui. Ma a questo non vogliamo nemmeno pensarci. Godiamoci invece, carissimo Antonio e carissimi tutti, oggi l’abbraccio del Signore e preghiamo affinché tanti, tantissimi nostri fratelli possano gustare, attraverso la nostra testimonianza di vita, questo dolcissimo abbraccio.
AMEN!