Omelia XXXIV Domenica del Tempo Ordinario anno C

20-11-2022

Letture:
2Sam 5,1-3
Sal 121
Col 1,12-20
Lc 23,35-43

Carissimi fratelli e sorelle,

Abbiamo pregato al salmo responsoriale, rispondendo alla prima lettura, con queste parole: “Regna la pace dove regna il Signore”. Se noi riflettiamo anche solo per un attimo sulla storia che stiamo vivendo, la constatazione è proprio questa: che la pace non regna in tanta parte del mondo, regna l’egoismo, regna l’uomo e dove regna l’uomo non regna mai il bene di tutti, ma regna sempre il bene di qualcuno a scapito degli altri, solo un cieco non se ne accorge. Non regna la pace nel mondo! Non regna la pace, talvolta, nelle nostre famiglie, nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, c’è guerra dappertutto, dalle guerre sottili e a volte anche molto studiate dei nostri ambienti piccoli alle grandi guerre dove tuonano le armi, i cannoni o le bombe. E il motivo di tutto questo?  Non regna la pace perché non regna il Signore, perché c’è troppo egoismo, perché ognuno vuole e cerca il suo bene, la sua felicità e siccome non è mai contento, non è mai sazio, ecco che allora rapisce quote di felicità dagli altri. E questa è la storia.

Allora ci ha ricordato la liturgia oggi che, fino a che non regna il Signore, non regnerà mai la pace, perché la vera pace si fonda sulla giustizia, sull’amore. Questo è il senso della festa di Cristo Re, un Cristo Re vittorioso, che ci ha dimostrato qual è l’unica strada perché davvero il mondo possa vedere un’alba di pace: è l’unica possibilità, non ce ne sono altre, non ci sono vie secondarie, non ci sono scorciatoie per nessuno; l’unica strada è che Dio regni, regni in pienezza nella nostra vita.

Ma cosa vuol dire che il Signore deve regnare? Gesù si presenta come il Re dei Giudei. Durante il processo Pilato gli domandava in maniera incredula, provocatoria: “Dunque, tu sei re?” É come se Pilato non si riuscisse a capacitare che un re si lasciasse mettere le mani addosso, si lasciasse insultare, si lasciasse ridurre in quelle condizioni terribili di sofferenza. “Dunque, tu sei re?”, come per dire: “Ma che razza di re sei? Ma fammi il piacere! Ma non farmi ridere!”. E Gesù che risponde: “Tu lo dici. Io sono re ma – aggiunge Gesù – il mio regno non è di questo mondo, è un’altra cosa perché i regni di questo mondo si basano sul potere del forte sul debole, del ricco sul povero, del saggio sull’ignorante. Ma il regno di Dio non è di questo mondo; è il regno dove non ci sono più distinzioni e divisioni, è il regno dove tutti, dal primo all’ultimo, dal più bravo al più scemo, dal più sano al più malato, al più malconcio, tutti, veramente tutti, nessuno escluso, siedono alla stessa mensa per saziarsi dei beni della vita, tutti quanti senza che nessuno rimanga alla porta perché non c’è posto, senza che nessuno rimanga senza perché la torta è finita. Questo è il regno di Dio.

Ma abbiamo motivo di pensare che non verrà mai sulla terra il regno di Dio se cercato come frutto di accordi terreni. Il regno di Dio è grazia, è grazia che viene da Dio, da Lui! E dunque ci vuole la conversione del cuore, non viene con una bacchetta magica, non ci sono formule magiche; l’unica possibilità è che ci convertiamo senza aspettare che si convertano gli altri, che ognuno si converta, che ognuno dica di sé: “Io che posso fare perché venga il regno di Dio sulla terra? Cosa posso fare? Dove mi posso impegnare un po’ di più, cosa posso lasciare per far stare un po’ meglio gli altri?”. Bastasse questo!

E invece noi siamo qui, abbiamo cominciato la messa, chiedendo perdono: “Signore pietà, Signore pietà…”, abbiamo detto, perché ci rendiamo conto che siamo tanto egoisti, che anche noi che pure ci diciamo cristiani, che pure siamo abbastanza puntuali, fedeli e praticanti, poi sotto sotto abbiamo instaurato uno stile di vita nel quale davvero sprechiamo, sciupiamo tante risorse, cerchiamo accanitamente, affannosamente, quote di potere e di importanza, senza curarci che tutto questo poi venga pagato da tanti innocenti, da tanti poveri, da tante persone che sicuramente non hanno più peccati di noi per vivere come vivono.

Regna la pace dove regna il Signore! E così pure quando stava sulla croce i capi lo insultavano: “Ha salvato gli altri. Scenda dalla croce, così gli possiamo credere”. Ma proviamo a immaginare: se Gesù avesse ceduto a quella provocazione, se fosse sceso dalla croce, avrebbe dato manifestazioni di potenza, certo, forse avrebbe punito severamente tutti i suoi aggressori ma non avrebbe dato la testimonianza suprema dell’amore, sarebbe stato uno dei tanti potenti della terra che alla fine si arrabbia, grida, mette tutti a tacere. Invece Gesù è rimasto lì in silenzio a subire non solo la sofferenza fisica, ed era già terribile, ma anche l’insulto, l’oltraggio, lo sfregio. Perfino uno dei due ladroni che era crocifisso con Lui lo insulta: “Scendi dalla croce, salva te stesso e noi”. Per fortuna l’altro, anche lui ladrone ma il nostro linguaggio l’ha consacrato come “il buon ladrone”, cioè uno che ha avuto la capacità all’ultimo momento di dire: “Signore, ricordati di me”. Non poteva nemmeno promettere perché anche lui stava morendo Però è bastato quell’atto di abbandono fiducioso a Gesù e Gesù lo ripaga: “Oggi tu sarai con me in paradiso”.

Guardate dunque che mistero!  il primo ad entrare in paradiso chi è? Un ladrone, un delinquente, un peccatore, il primo ad avere questo onore, quello che taglia il nastro di questa porta finalmente spalancata che è la porta del paradiso, un peccatore che si abbandona fiducioso nelle mani di Dio. “Oggi sarai con me in paradiso”, dice Gesù. Vorremmo sperare che in questa celebrazione eucaristica noi potessimo fare questa esperienza: l’esperienza di incrociare gli occhi di Gesù crocifisso, di questo Re così strano, sconfitto ma vittorioso, morto ma risorto, ripudiato eppure centrale per la storia dell’umanità. Volesse il cielo, dicevo, che ciascuno di noi in questa messa potesse fare questa esperienza: incrociare lo sguardo di Gesù e sentirsi dire da Lui: “Oggi tu sarai con me in paradiso”.