XIII Domenica del tempo ordinario

28-06-2020

OMELIA
XIII Domenica del tempo ordinario
Andria, 28 giugno 2020
_________________________________________

Letture:
2Re 4,8-11.14-16
Sal 88
Rm 6,3-4.8-11
Mt 10,37-42

In questa domenica due sono i temi che maggiormente si evidenziano dalla lettura della parola di Dio, e che ci chiedono conversione. Da una parte c’è il tema dell’accoglienza che è già abbozzato nella prima lettura, ma poi è chiaramente presentato da Gesù nella pagina del Vangelo.
Nella prima lettura si racconta del profeta Eliseo, che lungo i suoi viaggi chiede ospitalità a casa di una donna che, vedendo l’uomo di Dio stanco e affamato si prodiga per dargli un po’ di ristoro. e coinvolge in quest’opera anche il marito. Allora perché non pensare che il ministero della donna sia proprio questo, il ministero dell’accoglienza, accogliere l’altro, accogliere gli altri anche in una comunità, in un gruppo; nella parrocchia tanti fanno tante cose, ma la parola di Dio ci suggerisce, ci autorizza questa riflessione: le persone più accoglienti, le prime persone che devono vivere questo ministero, questo servizio, che devono sprigionare questa capacità di accoglienza sono proprio le donne. Certo, la comunità tutta intera è chiamata a misurarsi sul tema dell’accoglienza e quindi dobbiamo un po’ chiederci: noi comunità cristiana, noi che ci chiamiamo e diciamo di essere la Chiesa, siamo accoglienti? Noi sappiamo che la pratica, l’esperienza ci dice che facilmente si perde di vista questa accoglienza, soprattutto perché capita che ad un certo momento le persone che abitualmente, frequentano la comunità più o meno sono sempre le stesse e allora va a finire che si diventa buoni amici, c’è una consuetudine anche di vita fraterna, però chi non è del giro – diciamo così – che non è abituale come gli altri, che è frequentatore occasionale, capita che quella volta che viene non si sente pienamente a suo agio e questo perché la comunità, che dovrebbe essere luogo di accoglienza, certe volte anche senza accorgersi, senza volerlo, però di fatto diventa chiusa, un po’ a riccio, per cui se sei del giro va bene, ma se non sei della cerchia ti senti e sei considerato, certe volte ti fanno proprio considerare e sentire estraneo. E così, uno dai oggi e dai domani si disamora, perde un po’ il legame affettivo con la comunità e non viene volentieri, se deve venire una volta di più ci pensa e non viene.
Il tema dell’accoglienza – credo – è un tema sul quale abbiamo sempre molte verifiche da fare: dobbiamo sempre domandarci se noi come Chiesa, come comunità siamo casa accogliente di tutti, di chi viene tutti i giorni, ma anche di chi viene di passaggio, di che viene perché magari non ha dove andare e trova qui le sue amicizie e forse per questo viene, ma anche di chi viene sapendo che non ha nessuno a cui dire un “ciao, come va?”, allora si sente, c’è quel senso di estraneità. Molto importante è esercitare, dunque, la virtù dell’accoglienza perché attraverso la virtù dell’accoglienza passa poi, transita da coscienza a coscienza, da cuore a cuore, transita l’annuncio cristiano, transita l’amore di Dio.
L’altro tema, a cui accennavo all’inizio, è l’impegno a seguire Cristo con radicalità, con una certa totalità di vita. Sono le prime battute del Vangelo di stasera: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. “Eh… – potremmo dire noi – esagerato! E come si fa?” Peggio ancora dopo: “Chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me”. Certamente sono parole forti che ci scuotono un po’ e ci ritroviamo a domandarci: “Ma possibile mai che si può amare Dio più di quanto si ama un fratello, una sorella, un padre, una madre, un figlio?”. Eppure le parole del Signore vanno capite; Gesù a volte è duro proprio per scuoterci, per dire che l’esigenza di mettere Dio al primo posto della nostra vita non deve venire mai meno. D’accordo, gli affetti, anche i più forti, anche quelli familiari, un padre, una madre, un figlio, una figlia, un fratello, una sorella, un marito, una moglie sono legami sacri, inviolabili, d’accordo, però Dio è sempre al primo posto e non deve capitare che con la scusa – perché talvolta diventa scusa – con la scusa di dover coltivare alcuni legami non c’è posto, non c’è tempo per pensare a Dio.
A volte si sentono dire battute di questo tipo, rivolte da chi vive la vita di famiglia a chi vive una vita di carattere religioso, un sacerdote, una suora, un missionario, si sente dire: “Ah, beato te che non hai la famiglia! Tu sì che puoi pensare a Dio! Noi abbiamo tanti problemi…”. Espressioni di questo tipo si dicono quasi a significare che per pensare a Dio bisogna essere senza problemi. E chi è senza problemi? Ogni strada, ogni via ha la sua fetta di problemi, di guai, di situazioni complesse da affrontare e non è detto che chi fa vita di famiglia ha più problemi di chi fa vita senza famiglia; ognuno ha il suo corredo di problemi. È uno schema mentale che noi certe volte ci creiamo quasi per giustificarci, che ci serve da scusa, da pretesto per dire: “Io non posso fare molto perché ho altri problemi”. Non è così! Proprio per rispondere a questa difficoltà, ecco che Gesù aggiunge: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”, e questo discorso è per tutti, non è soltanto per gli uomini religiosi, i preti, le suore, i frati, i missionari; tutti, anche in una famiglia uno è chiamato a seguire Gesù impegnandosi nell’amore e la croce di cui parla Gesù è proprio questo, è lo sforzo, la fatica, l’impegno di accettare la propria condizione con amore, senza rimpiangere la condizione degli altri, per cui Gesù ci dice di prendere ognuno la propria croce.
Noi molto spesso siamo disposti a fare sacrifici immensi per aiutare gli altri a portare le croci, ma quando dobbiamo portare la nostra allora cominciano le scuse, i pretesti, le lagne e borbottiamo e non siamo mai contenti: “Perché a me? Perché così…? Perché colà…?”, e chiediamo al Signore di essere liberati. Il Signore non ha mai detto: “Quando tenete una croce, pregatemi che ve la tolgo”, non ha mai detto questo, non ci sta nel Vangelo questa frase. Mai! Il Signore dice: “Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Occorre prenderla la croce; è inutile rifiutarla, scaricarla sugli altri perché poi certe volte capita anche questo, ci scarichiamo le croci e le mettiamo addosso agli altri: figli che non vogliono la croce dei genitori e la scaricano sulle spalle dei fratelli più disponibili dicendo che non possono, poi magari in altri contesti si fanno bei discorsi, ci si fa maestri gli uni degli altri, tanto per fare un esempio, ma ne potremmo fare tanti; si va a visitare gli ammalati estranei, si ha un anziano in casa e lo si tratta male; si va facendo la carità agli estranei e hai un fratello che sta in difficoltà e non ti commuovi…La croce la dobbiamo prendere, non la dobbiamo rifiutare né dobbiamo fare i maestri agli altri che stanno sotto la croce, fare bei discorsi: “Dai, rassegnati! Abbi pazienza!”, poi arriva per noi la croce e allora saltano tutti i discorsi, non vale più niente.
No! “…prenda ogni giorno la propria croce…”, è chiaro che per un marito la croce potrebbe essere anche la moglie e viceversa. E perché no! Allora uno che fa? Si ribella? Rompe? È facile! Invece no! Un fratello, una sorella è una croce ebbene: la devi portare quella croce, devi fare il gesto, devi tendere la mano. Per un parroco la croce può essere la comunità che gli dà pensieri, preoccupazioni, pene e a volte gli viene la tentazione: “Ma che m’importa!”. E invece no! E viceversa, per una comunità può essere il parroco che dà problemi… Siamo persone umane, tutti quanti, nessuno è perfetto e la convivenza è croce, questa è la croce di cui parla Gesù, il vivere uno accanto all’altro. Questa è la croce, convinciamoci! Noi la dobbiamo accettare, abbracciare, smettendo di fare i borbottoni, gli scontenti… Non soltanto la casa, la famiglia, la parrocchia, ma la città: questa è la nostra città! È inutile lamentarci che le cose non vanno bene e borbottare che va tutto storto… Prendiamo la croce e facciamo quel po’ di bene che possiamo fare per questa gente.
Questo è il significato del Vangelo di oggi: accettare la realtà, non rifiutarla, non rigettarla, turandosi il naso facendo gli schifiltosi… Chi è senza peccato? Forza! Mettiamoci in un atteggiamento positivo, che è quello che ci suggerisce Gesù nel Vangelo, che chiede responsabilità, pazienza, ma chiede soprattutto tanta fede. Abbracciamo ognuno di noi la nostra croce e seguiamo Gesù: è questa la via della vita e della salvezza!