Omelia II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia

24-04-2022

Letture:
At 2, 42-47
Sal 117
1Pt 1,3-9
Gv 20, 19-31

Carissimi,

in questa seconda domenica di Pasqua la Chiesa ci ripropone il vangelo che narra l’incontro di Gesù risorto con i suoi discepoli la sera stessa di Pasqua e poi otto giorni dopo.

Per quanto riguarda la sera di Pasqua, il racconto ci ha ricordato che gli apostoli erano riuniti a porte chiuse. E questo ci meraviglia non poco. Ma come? – potremmo dire – la mattina di quel giorno c’era stato il ritrovamento del sepolcro vuoto e le prime apparizioni di Gesù Risorto, dovevano essere tutti felici di come si erano svolti gli eventi. E invece i discepoli erano a porte chiuse, per paura dei Giudei, ci tiene a precisare l’evangelista, ma evidentemente anche perplessi dopo il racconto delle donne che avevano trovato il sepolcro vuoto e la visita di alcuni di loro, come Pietro e Giovanni. E dunque le porte erano chiuse e questo vuol dire che nonostante tutto la fede dei discepoli faticava ad esprimersi con una certa sicurezza. Vorrei fare subito una prima riflessione per noi, discepoli che vivono a tanti secoli di distanza da quegli eventi: Chiediamoci, cari fratelli, come sono le porte del nostro cuore e delle nostre comunità: sono aperte, spalancate al mondo, oppure sono chiuse perché la nostra fede è incerta e piena di dubbi e di paure?

Gesù, per rassicurarli, ripete più volte: “Pace a voi”, mostra le ferite della passione e poi soffia su di loro, per donare lo Spirito, un gesto che ricorda il soffio di Dio quando ha dato la vita all’uomo all’inizio del mondo. Inoltre, concede il dono di essere ambasciatori della misericordia di Dio, cioè di rimettere i peccati. Ecco dunque indicato in queste poche battute qual è il compito della chiesa, il nostro compito di discepoli del risorto: annunciare e donare la misericordia del Signore a tutti gli uomini di tutti i tempi.

 

Quella sera, però, manca Tommaso, che si dichiara incredulo quando al rientro nel gruppo, si ritrova davanti ai racconti pieni di entusiasmo dei suoi compagni, che gli dicono: “Abbiamo visto il Signore!” Lui, senza farsi per niente coinvolgere dall’entusiasmo dei compagni, si mostra incredulo, scettico: “Se non vedo, non credo!”. Gesù lo prende in parola e non si fa aspettare, infatti, otto giorni dopo ritorna e, mentre le porte erano purtroppo ancora chiuse, dopo il suo saluto di pace, si rivolge direttamente a Tommaso e quasi in tono di sfida, gli chiede di toccare i segni della sua passione, i segni del suo amore per l’umanità, invitandolo ad essere credente e non più incredulo.

Tommaso stavolta è totalmente preso, catturato dall’amore, dalla misericordia di Gesù e fa davanti a tutti i suoi compagni la sua professione di fede, una professione bella, dolce e intensa: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù, invita Tommaso, e oggi ciascuno di noi, ad essere credente e non più incredulo. Infatti mentre parla con Tommaso, Gesù, guardando lontano, pensa anche a noi, suoi discepoli di oggi.  A noi, infatti, si riferiscono le parole del Signore Risorto: “Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.

Ci commuove il solo pensiero che Gesù, mentre diceva a Tommaso quelle parole, pensava anche a noi, noi, che non abbiamo visto dal vivo il costato trafitto, le mani e i piedi bucati, non abbiamo visto i morti risorgere, i ciechi o gli zoppi guarire. Ma abbiamo fondato la nostra vita di fede proprio sui racconti di quanti hanno visto e si sono presi l’impegno di far giungere fino a noi, attraverso questi racconti, la luce del mistero!

Certo, forse qualche dubbio di fede ci assale sempre, soprattutto nelle sofferenze, è facile che qualche desiderio o progetto, cercato o sognato, che non si realizza ci porti a cadere nello stesso errore di Tommaso: “Se non vedo non credo”. Invece, proprio quando abbiamo qualche incertezza, ripariamoci nella preghiera, anzi facciamo nostre le stesse parole della bella ed alta professione di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”. Ripetiamole queste parole, quando guardiamo il crocifisso e ogni volta che partecipando alla celebrazione eucaristica, proprio al momento della consacrazione, vediamo il sacerdote presentarci il pane e il calice, subito dopo aver ripetuto, in obbedienza a suo comando, le parole “Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”.

Ed infine, vorrei ricordare che oggi è la “Domenica della Divina Misericordia”, istituita da San Giovanni Paolo II nell’anno 2000, per fare memoria delle apparizioni a Santa Faustina Kowalska a partire dal 1931. In una di queste apparizioni che Santa Faustina riporta nel suo Diario, Gesù dice: «“Desidero che la prima domenica dopo Pasqua sia la Festa della Mia Misericordia. Figlia Mia, parla a tutto il mondo della mia incommensurabile Misericordia! L’Anima che in quel giorno si sarà confessata e comunicata, otterrà piena remissione di colpe e castighi. Desidero che questa Festa si celebri solennemente in tutta la Chiesa». (II Quaderno n.699)