Omelia Messa vespertina della Cena del Signore

28-03-2024

Letture:
Es 12,1-8.11-14
Sal 116
1Cor 11,23–26
Gv 13,1-15

Ogni giorno sull’altare di tutte le chiese si celebra l’Eucarestia; ogni domenica la nostra comunità si ritrova intorno a questa mensa come famiglia del Signore per ripetere il gesto di Gesù. Eppure questa sera tutti quanti sentiamo che è diverso, non perché il rito sia diverso, la Messa è sempre quella: il rito, le preghiere, la celebrazione.

Questa sera sentiamo tutti che c’è qualcosa di diverso, avvertiamo un clima particolare e non a caso stasera, in settimana, pur non essendo domenica, ci ritroviamo in tanti intorno alla mensa del Signore. È perché vogliamo celebrare in una maniera più intensa la Pasqua del Signore, ripetendola così come l’ha fatta Lui, Gesù. Quando Lui fece l’Eucarestia la prima volta, disse: “Fate questo in memoria di me”. Gesù ha fatto chiaramente intendere che quel gesto doveva essere ripetuto, che non finiva lì. Ricordiamo di quale sera, di quale notte si tratta: della notte in cui fu tradito. Non è una coincidenza e il Vangelo, ricordando questo particolare, ci mette sulla strada e ci dice come dobbiamo interpretare tutto quello che accade questa sera: nella notte in cui fu tradito, cioè mentre Giuda aveva ormai già in animo di tradirlo, mentre gli Apostoli, seppure promettevano fedeltà assoluta, si preparavano anche loro a rinnegarlo e ad abbandonarlo. Non è una coincidenza: da una parte c’è l’uomo che non riesce ad amare il Signore e dall’altra parte c’è Dio che continua ad amarlo, continua a volergli bene, non lo abbandona.

Ecco: “nella notte in cui fu tradito”. L’uomo tradisce e Dio ama; l’uomo rinnega e Dio ama. Questo è un mistero che stravolge tutti i nostri schemi di pensiero e poi Gesù dice una parola molto bella e la ripete a noi questa sera: “Io vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io così voi dovete fare”. Il Signore ci ha dato l’esempio: nella notte in cui veniva tradito Egli viveva la pienezza dell’Amore. Gesù sapeva che di lì a poco avrebbe trascorso una notte terribile: gli insulti, gli sputi; Pilato, Erode, Caifa che se lo mandano l’uno all’altro e nessuno si vuole assumere la responsabilità di una condanna ingiusta; i servi, i soldati che si prendono gioco di Lui per una notte intera. Gesù sapeva tutte queste cose: sapeva che sarebbe stato tradito con un bacio, con un gesto che è l’emblema, il segno dell’amore e che diventa per Gesù, invece, il segno del tradimento. Gesù sapeva tutte queste cose; nella notte in cui fu tradito sapeva che la sua vita era ormai giunta al termine, le ultime ore. E allora, come un moribondo lucido, Gesù dedica gli ultimi istanti della sua vita non a salvare sé stesso, non a mettere in ordine le sue cose per partire poi bene da questo mondo, Gesù dedica gli ultimi istanti, le ultime ore della sua vita, ancora e sempre a parlare d’Amore. Gesù lascia il suo testamento: la sera del Giovedì Santo è la sera del testamento di Gesù, è il momento in cui Gesù dice che cosa lascia ai suoi discepoli.

Che cosa ci lascia Gesù? Il primo dono: l’Eucarestia. “Prendete, mangiate questo è il mio corpo. Prendete, bevete questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. Gesù lascia non una cosa, come fanno coloro che fanno testamento in questo mondo: chi lascia le case, chi lascia i soldi, chi lascia i libretti in banca, chi non lascia niente perché qualcuno glielo ha strappato via prima…. Gesù lascia sé stesso: quel pane non è più pane, quel vino non è più vino; è il suo corpo e il suo sangue glorioso perennemente presente in mezzo a noi. E Gesù non ha detto: “Prendete e guardate, prendete e fate le processioni, prendete e adorate”. No! Gesù ha detto: “Prendete e mangiate”. E allora la più grande sofferenza di una comunità cristiana, sapete qual è? È il fatto che molti cristiani non amano questo pane ma ne fanno volentieri a meno. Ed è come dire a Gesù: “Gesù, ma chi te l’ha fatto fare? Chi ti ha chiesto questo dono? Io ho ben altro pane da mangiare e ben altro vino da bere. Il tuo pane e il tuo vino non mi servono!

Questa sera dobbiamo chiedere perdono al Signore per tutti i nostri peccati contro l’Eucarestia e primo fra tutti il non aver fame di questo pane.

Il secondo dono è il sacerdozio, il sacerdozio ministeriale. Se c’è l’Eucarestia è perché c’è un prete che l’ha fatta. L’Eucarestia non si fa da sola, per cui dove c’è il primo dono c’è per forza l’altro, il sacerdote. E allora, anche qui, non dobbiamo mai finire di ringraziare il Signore per questo dono che ci ha fatto: il sacerdozio ministeriale. È un grande dono che tocca qualcuno ma quel qualcuno ne è investito non per sé ma per il popolo di Dio.

Quanto è grande questo dono! Noi certe volte non lo apprezziamo, ci facciamo l’idea un po’ strana del prete, vogliamo da lui chissà quale altezza di perfezione e non riusciamo a rapportarci a lui nella maniera più corretta, più giusta. La figura del prete, per molti cristiani, resta una figura un po’ misteriosa. È un dono! Il prete è un dono! Sarà giovane, sarà vecchio, sarà buono, sarà non buono, sarà bello, sarà brutto, sarà bravo in tante cose, sarà meno bravo in tante altre cose…Non importa! È un prete che fa l’Eucarestia, è un prete che annuncia la Parola, è un prete che annuncia e dona la misericordia di Dio. E questo basta per dare al prete venerazione. Diceva S. Giovanni Bosco una bellissima frase: “Se io incontrassi un angelo di Dio e un sacerdote, saluterei prima il sacerdote e gli bacerei le mani e poi l’angelo, perché il sacerdote con quelle sue mani fa prodigi, fa miracoli”. Altro che miracolo: uno zoppo che cammina, certo! Un cieco che vede, certo! Ma un pane che diventa corpo di Cristo! Che miracolo più grande di questo c’è? Eppure se non ci fosse un prete, quel miracolo non avviene. Un peccatore che torna ad essere giusto. Che miracolo ci può essere più grande di questo! Eppure se non c’è un prete che dice: “Io ti assolvo”, quel peccatore resta peccatore. A volte qualcuno dice: “mi confesso da solo con il Signore”. Ti confessi da solo? Va bene! Ma non ti puoi assolvere da solo. Ci vuole una mano che si stende su di te e ti dice “Io ti assolvo”.

Ecco dunque il secondo grande dono: il sacerdote. E il sacerdote porta dentro di sé questo mistero: chiamato a cose altissime ed essere poi un pover’uomo pure lui. Un pover’uomo che deve essere allora circondato dal suo popolo con affetto, con rispetto, con venerazione, con pazienza, con comprensione.

Il terzo dono, che in qualche modo lega questi due doni, è il comandamento dell’Amore. “Vi dò un comandamento nuovo” – dice il Signore – “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato!”. I dieci comandamenti già dicevano: non rubare, non desiderare le cose degli altri, non uccidere…C’era già tutto questo. La legge nuova, quella di Gesù, é: “Amatevi come io vi ho amato”. E noi potremmo dire a Gesù e difatti lo diciamo tante volte: “Ma come si fa? Non ci riesco!” Ecco allora Gesù nella sera dell’amore ci dà l’esempio: si mette ai piedi dei suoi apostoli e li lava, compiendo quel gesto che era un attributo specifico dei servi.

Allora, mettendosi a lavare i piedi ai suoi, Gesù dice: “Ecco! Te lo dico io come si fa! Anzi, te lo faccio vedere io. Si fa così: togliti la veste!”. Gesù, dice il racconto di S. Giovanni, si tolse la veste, si mise l’asciugatoio e si mise a lavare. “Togliti la veste!”, laddove veste significa tante cose: spogliati del tuo orgoglio, della tua presunzione, della tua convinzione di aver sempre ragione; togliti la veste che ti fa apparire a volte diverso dagli altri, perché tu ti puoi permettere una veste migliore di quella che hanno gli altri e, quando te la metti, la ostenti davanti a tutti per far vedere che hai quella veste.

Gesù si toglie la veste e io fra poco ripeterò quel gesto: mi toglierò questa casula, resterò col camice, mi metterò il grembiule e, come Gesù, farò questo gesto con grande commozione e trepidazione, sapete, perché mi rendo conto che sono indegno di fare quello che ha fatto Gesù, però lo devo fare per me e per voi.

Ecco il terzo dono: amatevi gli uni gli altri, sentitevi servi gli uni degli altri; non fate a gara a chi più la spara grande per dirsi migliore, più bravo, ma fate a gara a chi serve di più, a chi si impegna di più. Non cercate di essere grandi, fatevi piccoli: questo è il terzo dono di Gesù. Ma, se non accogliamo questi doni, se restiamo chiusi all’Amore del Signore, allora né il primo dono, né il secondo, né tanto meno il terzo, avremo mai la gioia di viverli pienamente.

Chiediamo al Signore che trasformi davvero la nostra comunità non solo stasera ma ogni giorno, ogni domenica in un vero Cenacolo, dove si gioisce per i doni di Dio, dove si fa a gara nel crescere, nell’amore, nel perdono e nell’accoglienza reciproca e da dove si esce trasformati per questi doni ricevuti, accolti e messi in circolo.

Che sia così per tutti noi stasera! Amen!