Omelia Santa Messa del Crisma

27-03-2024

Letture:
Is 61,1-3.6.8-9
Sal 88
Ap 1,5-8
Lc 4,16-21

Carissimi fratelli ministri ordinati Presbiteri e Diaconi, carissimi fratelli e sorelle tutti dell’amata Chiesa di Andria,
vorrei dedicare la riflessione sulla Parola ascoltata ad attualizzare per noi oggi quella espressione con cui l’evangelista Luca commenta la situazione narrata nel brano che ci ha offerto. Gesù è a Nazareth, il paese dove è stato allevato, dove tutti lo conoscono. E parlando di sabato nella sinagoga legge e spiega il brano di Isaia, quello stesso che è stato proclamato per noi oggi. Ebbene, quando finisce di leggere e sta per iniziare la sua spiegazione, Luca dice con un tratto rapido, ma efficacissimo, queste parole: “Nella Sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. Ecco, vorrei tanto che anche gli occhi di noi tutti oggi, in questa santa celebrazione, e non solo oggi, fossero ben fissi su di Lui, Gesù, che ora sta parlando al nostro cuore e fra poco, su questo santo altare, si farà ancora una volta pane che si spezza per noi, per nutrirci di sé.

Non vi nascondo, carissimi, che il più grande sogno che coltivo sempre, ma soprattutto oggi, alla vigilia dei giorni sacri della Pasqua, è proprio questo: che in ciascuno di noi sia grande e forte quest’unico desiderio: tenere fissi gli occhi sul Signore. Sì, tornare a guardare Gesù, tornare ad incontrarlo innanzitutto con lo sguardo della fede, col cuore e con la vita. Dobbiamo riconoscere che siamo un po’ tutti vittime dell’eterna tentazione del “fare” che caratterizza il pensiero e l’agire della nostra cultura contemporanea. E questa tentazione rischia di imporre la sua logica anche alla chiesa, la nostra chiesa, in tutte le sue espressioni. E anche noi, cari confratelli, che all’interno della chiesa siamo chiamati ad assumere un ruolo istituzionale e visibile, talora se non vigiliamo con attenzione, rischiamo di cedere a questa tentazione con le scelte che compiamo di giorno in giorno.

Carissimi, non ci deve mai abbandonare la convinzione che non basta mettere in atto strategie umanamente aggiornate e dunque significative per portare avanti questa porzione di chiesa che ci è affidata. Non dobbiamo mai dimenticare che la chiesa che siamo chiamati a costruire non è opera delle nostre mani. La storia secolare della nostra Chiesa ci dimostra che le strategie umane non bastano. Aver ricevuto dagli eventi storici la cara eredità di custodire una Sacra Spina del Signore, ci ricorda ogni giorno di più la necessità, direi l’urgenza, per tutti noi, di tornare a tenere fisso lo sguardo su di Lui, Gesù, Maestro e Signore, che quella spina la ebbe conficcata nel capo mentre offriva in croce la sua vita per noi.  E un’altra preziosa eredità che la nostra Chiesa custodisce è la testimonianza di santità di Mons. Giuseppe Di Donna, il quale tenendo fisso il suo sguardo su Gesù crocifisso, giunse a vivere quello che lui stesso chiamava lo “sposalizio” con la croce del Signore, rendendosi così sempre più consapevole di essere uno strumento nelle mani di Cristo.

La pervasività dei social e le situazioni talvolta critiche delle nostre comunità ci chiedono certo di vivere in maniera sempre rinnovata la nostra vita di comunità; inoltre ci spingono ad essere sempre ben attenti, aggiornati, magari all’avanguardia dal punto di vista dello zelo pastorale, nei suoi aspetti organizzativi. Ma non facciamo fatica a riconoscere che non sempre questa attenzione è corrispondente alla cura che abbiamo della nostra vita interiore, del nostro rapporto personale con Gesù nella preghiera, nella intimità con lui, e a realizzare la comunione con i fratelli con cui condividiamo il progetto d’amore di portare il Vangelo di Gesù alla nostra gente e al mondo intero! In questa santa Messa, che prelude per noi alle celebrazioni del mistero pasquale di Cristo nei prossimi giorni, siamo perciò invitati a lodare il Signore innanzitutto per il nostro ministero. Innanzitutto noi, ministri ordinati: vescovo, presbiteri, diaconi, chiamati ad essere, al di là di ogni nostro merito, immagine bella di Cristo pastore, siamo chiamati a lodarlo per il dono della misericordia che si esprime attraverso i segni degli olii santi: l’olio che prepara il cuore ai catecumeni, l’olio che dona la misericordia e la guarigione ai malati, l’olio che consacra i cristiani come sacerdoti re e profeti e consacra poi alcuni ad essere nel mondo il segno tangibile della tenerezza di Dio: tutti doni che vengono dall’alto e oltrepassano i nostri meriti e le nostre competenze e possibilità e le nostre stesse aspirazioni.

Infatti, proviamo a pensare: chi di noi potrebbe vantarsi di essere causa di un solo processo di conversione nel cuore di un adulto che si accosta alla fede? Chi potrebbe arrogarsi il diritto di riconoscersi guaritore solo perché ha amministrato il sacramento dell’unzione ad un infermo, o più importante degli altri solo perché ha potuto invocare lo Spirito di Dio su cresimandi, su sacerdoti o vescovi? Chi di noi presbiteri potrebbe dire solamente sua la scelta della vita presbiterale, che è invece vocazione e dono d’amore sovrabbondante di Dio per noi per il bene di tanti fratelli e sorelle? Tutto è grazia, tutto è dono infinito che ci giunge dall’alto. E dunque, di fronte a Gesù che continua a parlarci non possiamo non riconoscere, con un po’ di vergogna, i tanti tentativi maldestri di salvare gli altri e di salvare noi stessi facendo affidamento alle sole nostre risorse umane.

Abbiamo più che mai bisogno di tornare a lui, di immergere i nostri occhi nella profondità dei suoi occhi e così arricchirci di Lui, facendoci modellare dal suo ministero, dal suo essere servo nostro, per amore. Proviamo a pensare: cosa significa per noi essere annunciatori e testimoni di buone notizie, di liberazione per i poveri, gli oppressi e i prigionieri, essere araldi della misericordia del Signore nel nostro tempo? Significa ritornare a gustare noi per primi la chiamata ricevuta, senza nostro merito, a diventare innanzitutto veramente cristiani, prima ancora di parlare della vocazione particolare che abbiamo ricevuto.  E per far questo abbiamo bisogno di tornare ad imparare a fidarci di più del Signore che ci ha chiamato, imparare a modellare di più la nostra vita sulla sua, imparare a superare la tentazione superba di chi pensa di salvarsi e di salvare gli altri con la sapienza e le tecniche del mondo.

La sapienza che viene dall’Alto ci invita ogni giorno di più, affidandoci alla parola e alla persona di Gesù, a diventare persone che sanno offrire speranza, che sanno accogliere gli altri perché fratelli e sorelle in Cristo, a costruire comunità in cui ci sia posto, sempre, per tutti, e ribadisco: per tutti! Lo ha ripetuto con forza Papa Francesco parlando ai giovani della Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. E mi fa piacere sapere che una bella rappresentanza del gruppo nostro diocesano che è stato a Lisbona stasera è presente qui a questa santa celebrazione. Tutti insieme dobbiamo operare per costruire comunità aperte che facciano sentire il calore della casa a tutti, a cominciare dalle persone e dalle comunità che ci vivono accanto, ma anche a tutti coloro per i quali, in questo frangente di storia rappresentiamo l’unico punto di riferimento capace di mettere in salvo i frammenti di umanità che ancora ci rimangono. Mi pare di averlo detto in qualche altra occasione, ma non esito a ripeterlo ancora: Anche chi viene una sola volta nella vita nei nostri ambienti, deve avere la chiara e dolce percezione di sentirsi a casa, accolto ed amato, come a casa! Abbiamo bisogno insomma dell’olio della grazia del Signore e del balsamo della vicinanza fraterna gli uni degli altri, ognuno con le sue risorse, ognuno con le sue fragilità; e l’olio e il balsamo ci trasformeranno in crisma vivente che profuma il mondo, “olio che consacra, olio che profuma, olio che risana le ferite e che illumina”.
         Che il Signore ci aiuti! AMEN!