Omelia XXXII Domenica del Tempo Ordinario anno A

12-11-2023

Letture:
Sap 6,12-16
Sal 62
1Ts 4,13-18
Mt 25, 1-13

Carissimi,

siamo giunti alle ultime domeniche dell’anno liturgico, ne mancano ancora tre, compreso oggi, poi a fine novembre cominceremo il nuovo avvento, un nuovo cammino. Le pagine bibliche che abbiamo letto sono tutte orientate ad aiutarci in una riflessione seria sul senso della vita e sul tema dell’incontro finale col Signore. Nel Vangelo si parla di uno sposo che è atteso e che tarda a venire e le ragazze che lo aspettano per la festa ad un certo punto si addormentano. Quando però poi lo sposo arriva le ragazze che avevano pensato per tempo all’olio nelle loro lampade vanno alla festa, le altre che non avevano preparato niente, purtroppo, amaramente, restano fuori dall’incontro col Signore, lo sposo del Vangelo.

Non è la prima volta che troviamo questa immagine: lo sposo rappresenta sempre Dio, è Dio che viene incontro a noi. Nella nostra vita Dio ci viene incontro in mille modi, in tante maniere, in tante occasioni. Tutte le volte che veniamo a messa, certo, il Signore ci viene incontro e ci parla e ci apre il cuore all’intelligenza delle Scritture. E poi, ogni volta che viviamo situazioni intense nella vita è il Signore che ci viene incontro: bussa un povero: ecco, il Signore ci è venuto incontro. A casa viviamo una situazione particolare, di difficoltà, il Signore mi viene incontro e mi chiede di rispondere a questa situazione da credente e potremmo continuare a lungo con gli esempi.

Dunque la nostra vita è un susseguirsi di incontri col Signore; a volte gli incontri sono chiari, io mi accorgo che il Signore mi passa accanto, altre volte non lo capisco subito, devo essere attento, devo essere sveglio, devo essere – come dice il Vangelo – saggio. Spesso si è superficiali, si è accecati da false luci, da situazioni effimere e non ce ne accorgiamo che passa il Signore. Il Signore viene, lancia innumerevoli messaggi per chiederci di andargli incontro, prima che sia troppo tardi. Non parliamo mai di queste cose perché sono cose che ci fanno tremare, ma a volte alzare lo sguardo e pensare a queste cose ci fa un gran bene!

Dunque il Vangelo di oggi si chiude con delle parole che ci fanno impressione: “E la porta fu chiusa!”. Ci pensiamo mai? Un bel giorno la porta si chiuderà e noi… L’esortazione che ci viene oggi dal Vangelo, dunque, è che mentre aspettiamo quest’ultima volta (che accadrà non sappiamo quando, in che modo, per mezzo di chi il Signore ci chiamerà, non lo sappiamo…) sappiamo valorizzare le mille volte che il Signore viene perché, in fondo, come si vive, così si muore. La vita è un andare incontro al Signore, non è un passare i giorni, l’uno dopo l’altro, cercando di arrivare alla sera nel miglior modo possibile. No! La vita è un andare incontro al Signore che ci attende per accoglierci. Ma se noi viviamo non per andare verso di Lui, ma per andare verso altri luoghi, i luoghi del piacere, del successo, dell’interesse, i luoghi del potere…non lo incontriamo e non lo riconosciamo quando Lui ci viene incontro. Quanti passi mettiamo per andare verso luoghi sbagliati! E poi, quando arriviamo, non riusciamo ad avere il coraggio di tornare indietro e ci rivoltiamo sempre di più nella nostra miseria, ci sporchiamo sempre di più.

La parabola del Vangelo parla proprio di quest’ultima volta che però, è anticipata dalle tante volte in cui il Signore viene. Se io mi sono abituato a dire sempre sì al Signore, pur tra debolezze e cadute, con tutte le fatiche e gli insuccessi, se io mi sono abituato a dirgli sempre sì, anche l’ultima volta gli saprò dire sì e Lui, soprattutto, dirà di sì a me.

Ecco il senso della parabola: dieci ragazze aspettano lo sposo, ma cinque sono sagge e cinque stolte. Ci fa bene osservare che non dice cinque buone e cinque cattive, noi siamo più semplici a volte, più banali, subito parliamo di buoni e cattivi. Gesù dice sagge e stolte: le sagge sono persone che davvero hanno nel cuore la sapienza di Dio – come la prima lettura ci suggerisce – la capacità cioè di guardare la vita con gli occhi di Dio, misurare la vita con l’unità di misura di Dio e non con la nostra. Le sagge sì, si addormentano pure loro perché lo sposo tardava, però quando poi arriva sono pronte perché hanno portato con sé l’olio. Le stolte, cioè le sciocche, superficiali, persone che non pensano mai alle conseguenze di quello che fanno, pensano soltanto all’attimo presente, arrivano poi di fronte al Signore che viene e si ritrovano sempre con la lampada senz’olio, corrono ai ripari e, quando, chiedono alle amiche: “Dateci del vostro olio perché le nostre lampade si spengono”, è troppo tardi.

Se volessimo fare un discorso di banale generosità ci vien da dire: glielo potevano pur dare un po’ del loro olio… ma siamo in una parabola: che significa l’olio? L’olio rappresenta il nostro impegno, la nostra fatica, la nostra fedeltà, perché no, i nostri frutti (in questi ultimi tempi nel Vangelo spesso abbiamo sentito parlare dell’importanza di portare frutto). Ognuno di noi davanti a Dio deve andare con la propria lampada, col proprio olio, cioè con quello che lui è, con quello che lui ha fatto, non può andare davanti a Dio facendosi bello con le opere degli altri. Con Dio non può assolutamente andar bene questa storia, non possiamo copiare i compiti degli altri, facendoci belli con le opere degli altri. Ognuno di noi davanti a Dio sta con quello che è e che fa, in bene e in male. Alla fine, ecco che vuol dire la parola di Dio: “E la porta fu chiusa”, arrivarono le stolte e bussando si sentirono dire da Dio: “Non vi conosco!”. Noi dobbiamo coltivare una speranza che forse è l’unica cosa che ci aiuta a vivere bene: quella di non dover mai sentire queste parole dalla bocca di Dio: “In verità non vi conosco!”. Ed è proprio perché coltiviamo questa speranza che all’altare ora andiamo incontro al Signore che viene. Chiediamo perciò che ogni incontro con Dio ci trasformi sempre in meglio per essere pronti quando ci vorrà incontrare per l’ultima volta.