Omelia XXXI Domenica del Tempo Ordinario anno A

05-11-2023

Letture:
Ml 1,14b-2,2b.8-10
Sal 130
1Ts 2,7b-9.13
Mt 23,1-12

Carissimi fratelli e sorelle,
iniziando la riflessione sulla Parola che oggi il Signore ci ha rivolto potremmo partire da una domanda fondamentale: Ma che cosa significa essere cristiani? È bene precisare innanzitutto che non è necessario dire che siamo cristiani, perché la nostra vita parla da sé e quando uno è cristiano, si vede! Viene da pensare ai genitori e agli educatori: non basta parlare o insegnare, bisogna dare il buon esempio. Quante volte un padre alcolizzato, una madre negligente o degli educatori poco adatti avviano i bambini alla menzogna?

Quello che dovrebbe essere il comportamento del vero cristiano appare ben chiaro nell’insegnamento di san Paolo ai Tessalonicesi. Chiamato da Cristo sulla via di Damasco, san Paolo scoprì, per un’improvvisa folgorazione, tutto il mistero di Cristo e capì che l’essere cristiano consiste nella testimonianza, attraverso la vita, di quanto l’amore di Dio sia davvero il valore primo rispetto ad ogni altra cosa. Egli stesso, pieno dello Spirito di Cristo risorto, lo trasmise agli altri. Essere cristiani vuol dire questo: non tanto rispettare ciecamente delle formule o dei precetti, ma donare Cristo agli altri, mediante una vita cristiana onesta, perché, grazie all’apostolato della preghiera, della sofferenza e delle opere, il cristiano possa divenire una forza vivente del Vangelo di Cristo.

Tornando alle nostre letture di oggi al severo rimprovero contro i sacerdoti infedeli nella prima lettura fa seguito il severo rimprovero di Gesù rivolto a scribi e farisei nel vangelo. Entrambi i testi denunciano l’ipocrisia e la doppiezza.

Ai sacerdoti del tempo il profeta rimprovera il fatto che il loro insegnamento non è legato all’ascolto della Parola di Dio, ma a tradizioni che sono solo umane. La Parola di Dio è, invece, l’unica che può dare fondamento, contenuto e autorevolezza alla loro parola. Senza la Parola di Dio, il sacerdote non ha nulla da dire, essendo il suo ministero un servizio alla Parola di Dio.

Chi riveste una responsabilità religiosa, e noi tutti l’abbiamo, come genitori, come ministri sacri, deve essere consapevole della valenza simbolica della sua persona: egli deve pertanto essere affidabile e credibile. Se tradisce la fiducia che altri ripongono in lui, diviene responsabile anche dell’eventuale allontanamento da ciò egli rappresenta.

Senza attardarci a parlare di coloro che all’epoca circondavano Gesù, dobbiamo attualizzare ed applicare questa Parola alla nostra vita religiosa, alla nostra vita di fede del nostro tempo. Le parole di Gesù colpiscono il clericalismo cristiano e riguardano vizi religiosi, Le situazioni denunciate da Gesù in Mt 23 sono nostre, tutte, “nessuna esclusa: da quelle ridicole, ma non per questo meno pericolose – i paludamenti, i titoli, i posti d’onore – a quelle ancor più gravi: l’intellettualismo, il verbalismo, il proselitismo, il ritualismo, la persecuzione dei profeti vivi e la strumentalizzazione dei profeti morti” (Vittorio Fusco).

Gesù denuncia insomma l’irresponsabilità della parola. Irresponsabilità che consiste nel dire senza fare, quasi che il parlare di Vangelo dispensi dal viverlo o equivalga al metterlo in pratica. Irresponsabilità che è imposizione agli altri di pesi schiaccianti dunque come comando che vale per l’altro e non per sé e dunque è ignorante del peso che l’altro deve portare e della sua fatica.

Dovremmo anche interrogarci sull’esibizionismo religioso, sullo sfoggio di titoli onorifici rivolti a personalità ecclesiastiche sulla fastosità e ricercatezza barocca di vesti liturgiche.

Titoli, vesti, onori: trattandosi di cose esteriori, vale la pena di perder tempo a criticare queste cose? Il Vangelo, la fede è ben altro. Chiediamo al Signore oggi che ci aiuti ad andare alla ricerca sempre e solo dell’essenziale, senza formalismi né esibizionismi.