OMELIA
XXVII Domenica del tempo ordinario
Andria, Chiesa Cattedrale, 4 ottobre 2020
Letture:
Is 5,1-7
Sal 79 (80)
Fil 4,6-9
Mt 21,33-43
Anche il vangelo di oggi parla di rifiuto e ancora una volta c’è l’immagine della vigna, come già abbiamo visto in diverse domeniche passate. Oggi si parla di un padrone che manda i suoi servi a ritirare il raccolto, ma i contadini si rifiutano di consegnargli i frutti, anzi maltrattano i servi, alcuni li uccidono. Addirittura arrivano ad uccidere il Figlio. Non è difficile leggere in filigrana la storia della salvezza, a partire dall’amore di Dio per il suo popolo, Israele, un amore il più delle volte non accolto, rifiutato, fino al rifiuto del suo figlio Gesù, che conclude la sua vita confitto in croce, come il peggiore dei delinquenti.
Dalla parabola impariamo che il peccato fondamentale dell’uomo è ritenersi padrone della vita e togliere ogni riferimento a Dio. Ma proprio i mesi che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ci mostrano, invece, che l’uomo non è padrone di niente, tutti gli schemi sono saltati e nel giro di poco tempo tantissime vite umane sono state divorate dal virus. Dunque i tempi tragici che abbiamo vissuto ci lasciano un invito ad abbandonare la supponenza di chi si crede padrone della vita e a riscoprire l’importanza di avere un riferimento alto e altro per comprendere qualcosa del senso della vita stessa.
Dio, dopo il peccato, sempre chiama l’uomo a ritornare a lui, a scoprire il senso e il privilegio di lavorare nella sua vigna, ma il peccato è così radicato nel nostro cuore che spesso, nonostante le ripetute occasioni offerte da Dio, noi corriamo il serio pericolo di rimanere senza i frutti della Grazia. Se questo era vero per i contemporanei di Gesù che lo rifiutavano, lo è per tutti i tempi, dunque anche per il nostro tempo, per noi. Perciò non è più possibile accontentarci di leggere il vangelo come un richiamo solo etico morale, Si tratta di convincersi che senza il riferimento a Dio l’uomo perde la esatta percezione di ciò che egli è ed è chiamato ad essere: immagine somigliante a Dio, suo capolavoro nella storia.
Nella parabola abbiamo visto che il padrone alla fine decide di mandare il proprio figlio e quando questo arriva la reazione di quei contadini è uguale a quella avuta nei confronti degli altri messaggeri. Fin troppo chiara l’allusione che Gesù fa alla sua vicenda. Come dice S. Paolo tutti gli uomini sono sotto il peccato, tutta l’umanità, compresi noi, siamo una condizione di peccato e solo un intervento divino può cambiare il corso della storia e rimetterci nella condizione di tornare ad intendere la nostra vera identità come simile a Dio, come era nel progetto originario di Dio stesso.
Questo si vede nella parabola: un uomo che ormai vuole prendere, vuole conquistare ciò che ha perduto e non capisce che l’eredità non si prende, non si ruba e non si conquista, per essere eredi bisogna essere figli. Lui, Gesù, è il figlio, ma essi non comprendono che solo se lo accolgono avranno accesso all’eredità. “E se siamo figli, conclude S. Paolo, siamo anche eredi; eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17). Accogliendolo si diventa coeredi.
Invece con questo atteggiamento che vuole conquistare tutto con la forza, gli uomini perdono tutto. Uccidendo il figlio, uccidono sé stessi. La lettera agli Ebrei ci dice invece che, paradossalmente, il Figlio salva gli uomini proprio con la sua passione, con la sua morte fuori dalla città. Qui l’hanno portato fuori dalla vigna, come dice la parabola, come escluso, come oggetto di tutta l’aggressività e tutto il male, e questo lui l’assume totalmente su di sé.
Ciò che l’uomo peccatore, rinchiuso nella schiavitù della natura ferita non può e non vuole capire è proprio la figliolanza. È l’amore libero tra Padre e Figlio. E la dignità dell’amore libero tra i figli. Questo non solo non si capisce ma addirittura dà fastidio. Si prende la violenza come mezzo contro ciò che è bello, buono, ciò che è l’amore. E la conclusione della parabola è potente. La gente risponde che certamente il padrone farà morire miseramente quei malvagi, ma Gesù per tutta risposta cita le Scritture dicendo che la pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d’angolo. Non dice cosa farà il padrone, come sistemerà quelli. Il Figlio proprio per quelli chiederà perdono in modo che nessuna violenza, rimarrà non perdonata, non accolta, naturalmente se abbandonata e rinnegata, anche all’ultimo momento, come fu per il “buon” ladrone dall’alto della croce. Tutto ciò che fu scartato e buttato fuori diventa la pietra angolare, sulla quale tutto quello che è dell’umanità si può cominciare a ricostruire.