OMELIA
FESTA DELLA MADONNA DEL SABATO
III DOMENICA DI PASQUA
Minervino Murge, Santuario Madonna del Sabato, 26 aprile 2020
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La pagina evangelica dei discepoli di Emmaus, con la quale oggi ci ha parlato il Signore Risorto, è un racconto che possiamo considerare come una traccia per la nostra vita e il nostro cammino di fede. Non facciamo molta fatica a immedesimarci in quei due discepoli di Emmaus, i quali fanno un’esperienza particolarissima: è la stessa che noi stiamo facendo adesso, che facciamo ogni volta che veniamo in Chiesa per la messa domenicale.
Intanto dobbiamo ricordare un particolare: quanto ci è stato raccontato dall’evangelista Luca è accaduto la sera di Pasqua, “la sera di quello stesso giorno”, diceva il testo introducendo il racconto. Era un giorno particolare, erano accadute tante cose fin dall’alba: la tomba era stata visitata dalle donne, ma era stata trovata vuota; poi c’era stato un frenetico via vai su quella strada per andare a vedere la tomba vuota; poi Gesù stesso si era fatto vedere da alcuni, per cui quella era la sera di un giorno veramente straordinario, un giorno da ricordare per sempre. Però, nonostante tutte queste cose che erano accadute, ecco che, nel pomeriggio di quello stesso giorno, due discepoli tornavano a casa da Gerusalemme ad Emmaus, un villaggio distante undici chilometri, e tornavano tristi. Sì, è vero, s’era parlato della tomba vuota, è vero che alcuni dicevano di aver visto Gesù, però era ancora troppo poco.
Loro non erano ancora stati presi dall’evento della Pasqua, ne erano rimasti un po’ fuori, spettatori increduli, erano di quelli che non credono mai a niente, se non vedono, un po’ come Tommaso, di cui abbiamo parlato domenica scorsa. Tornavano col capo chino, tristi, sfiduciati, angosciati perché avevano riposto tutte le loro speranze in Gesù, ma erano rimasti delusi e tornavano a casa dicendosi l’un l’altro: “Peccato! È stato un bel sogno, ma è finito tutto! Ci dispiace! Pazienza!”.
Gesù si avvicina, ma non lo riconoscono. Certo, ci chiediamo: come mai non lo riconoscono? Lo conoscevano così bene! Erano discepoli… Per tanti motivi: prima di tutto perché non avevano ancora aperto il cuore alla fede, perché avevano ancora, su Gesù, una prospettiva troppo umana: doveva “liberare Israele”. Non ci sfugga quel passaggio in cui loro, raccontando le cose a questo sconosciuto, che poi era Gesù, dicono: “Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele, ma sono passati tre giorni e non si è visto niente. È finito tutto!”. Noi speravamo!
Ecco, loro non riescono a riconoscere Gesù perché sono un po’ – potremmo dire – raggomitolati su sé stessi, guardano e compiangono solo la loro tristezza, non riescono a guardare in volto questo sconosciuto passante. Gesù accetta la sfida e dice: “Ma come?! Possibile che non avete capito? Nella Scrittura c’era scritto tutto”. E allora, sempre restando nell’anonimato, Gesù spiega le Scritture. È una vera liturgia in cammino: Gesù, pazientemente, porta questi due discepoli a rileggere ancora una volta le Scritture per capire. Chissà quante volte le avevano lette! Ma le avevano lette distratti, le avevano lette in maniera superficiale, non ci avevano messo il cuore in quella lettura…
Vengo subito al dunque: non accade un po’ la stessa cosa pure a noi? Quante volte leggiamo pagine della Scrittura? Certe pagine le sappiamo pure a memoria, tante volte le abbiamo sentite…eppure non ci dicono niente, le leggiamo con troppa sicurezza, senza lasciarci più interpellare. Gesù invece, pazientemente, rilegge lungo la strada ancora una volta le Scritture e i discepoli cominciano a capire, però non lo riconoscono ancora. Quando lo riconoscono? Quando Gesù fa per andar via ma loro lo pregano di restare
Egli accetta l’ospitalità di questi due, si mettono a tavola dove Gesù prese il pane, ci ha raccontato san Luca, lo spezzò, pronunciò la benedizione e lo diede loro. Fatto questo gesto, ecco che finalmente i loro occhi si aprirono – dice proprio così il Vangelo – si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Era lo stesso gesto che Gesù aveva compiuto la sera del giovedì, nella santa Cena. E questo gesto lo aveva già preparato prima, quando aveva fatto la moltiplicazione dei pani… Quindi, vedendolo i due discepoli capirono, lo riconobbero.
Però – il racconto prosegue – appena essi lo riconobbero, Gesù scompare dalla loro vista. Non lo vedono più. È strano! Ora che lo avevano riconosciuto, potevano finalmente conversare con Lui faccia a faccia, si sarebbero finalmente sciolti i tanti loro dubbi…Invece no! Appena lo riconobbero, Gesù sparisce. Noi, come i discepoli di Emmaus, tante volte vorremmo vedere Gesù: chi di noi non ha sentito, almeno una volta nella vita, il desiderio di vedere Gesù, quasi per convincerci… Sì, noi crediamo, abbiamo la fede, altrimenti non staremmo qui, certo, però chissà quante volte ci è di provare nel cuore questo desiderio. È un desiderio legittimo, nulla di male. Ma purtroppo non ci è più dato di vedere Gesù. Il Vangelo di questa sera risponde al nostro desiderio. È vero! Gesù non lo vediamo, ma i discepoli di Emmaus lo hanno visto e non lo hanno riconosciuto, dunque non è questione di vedere. Quando lo hanno riconosciuto? Quando ha spezzato il pane.
E allora i nostri due discepoli tornarono subito a Gerusalemme. All’inizio erano stanchi e sfiduciati, ora la stanchezza non c’è più. Hanno visto il Signore, hanno capito, l’hanno riconosciuto e tornano a portare la lieta notizia agli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Quelli che erano cenacolo, anch’essi raccontano che anche loro avevano visto il Signore. Si comunicano questa gioia a vicenda.
Vedete – dicevo all’inizio – il racconto dei discepoli di Emmaus assomiglia molto alla nostra vita di tutti i giorni. Non è forse vero che tante volte noi veniamo a messa proprio come i due discepoli? Facciamo la strada di andata verso la Chiesa a volte stanchi, sfiduciati, indolenti perché magari tante cose ci hanno deluso, vorremmo quasi non andare, poi, per un eccesso di scrupolo, ci andiamo, magari la prendiamo con comodo, arriviamo un po’ più tardi…Ecco a volte noi arriviamo in Chiesa proprio come i due discepoli di Emmaus, senza grande convinzione, senza crederci troppo. Però qui accade qualcosa: la parola di Dio ci viene annunciata nelle letture, poi c’è l’omelia che ce le spiega, la preghiera e poi, soprattutto, ci sediamo alla mensa e si ripete quel gesto: il pane che si spezza, prendete, mangiate…
Quale dovrebbe essere allora il frutto, l’esito di questo incontro col Signore? Anche noi, come i due discepoli di Emmaus, dovremmo uscire di qui e fare il ritorno dalla Chiesa a casa felici di aver incontrato il Signore. Portiamo ogni volta, ogni domenica, all’altare il peso delle nostre miserie, delle nostre incertezze, dei nostri dubbi, dei nostri insuccessi, ma partiamo dall’altare, dopo aver mangiato questo pane spezzato, con una gioia dentro che scoppia nelle vene e ci porta davvero ad essere tra gli altri annunciatori di questa novità: Gesù è risorto e vive con noi!
C’è una nuova vita da annunciare. Coraggio, impegniamoci, cerchiamo di mettercela tutta perché Gesù è risorto e perciò vale la pena impegnarci per questo mondo nuovo! Ecco che, per concludere la nostra riflessione, ci soccorre la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Pietro: “Carissimi, se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio”. Ecco, la vita è un pellegrinaggio, ci ha ricordato san Pietro. Fermiamoci! Abbiamo ascoltato una Parola che fa luce al nostro cammino! Tra poco Mangeremo questo Pane che ci mette la forza di Dio nel cuore, anche se per tanti di voi questo sarà solo nel desiderio. Ma il Signor ci assicura che Lui viene, non ci lascia soli! E dopo questa sosta, riprendiamo il cammino con più forza, con più gioia, con più entusiasmo, sicuri che il Signore viaggia con noi.
Cari fratelli, noi dobbiamo aprire gli occhi e riconoscerlo in ogni fratello che cammina con noi, soprattutto nel povero, nel malato, in chi è solo e afflitto dai mali della vita. Riconosciamo il Signore che è il nostro compagno di strada, risuonano sempre imperative le parole che Gesù disse concludendo la descrizione del giudizio finale: “Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatta a me!”