OMELIA
IV Domenica di Pasqua
Andria, 25 aprile 2021
Letture:
At 4,8-12
Sal 117
1Gv 3,1-2
Gv 10,11-18
Il brano del Vangelo che oggi abbiamo ascoltato ci presenta Gesù che paragona sé stesso a un pastore che si prende cura del gregge, lo porta al pascolo, lo protegge, lo difende. L’immagine del pastore era certamente molto familiare in quel tempo agli ascoltatori di Gesù, sia perché erano un popolo di pastori ma anche perché si trattava di un’immagine molto usata quando si parlava di Dio. La spiritualità di quel popolo aveva tramandato nel passare dei secoli, delle preghiere bellissime, diversi salmi, che si rivolgevano a Dio col titolo di pastore. Uno fra tutti che anche noi ripetiamo e cantiamo spesso è il salmo 23: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla…” che descrive Dio come il pastore che si prende cura del suo gregge, del suo popolo, liberandolo da una condizione di schiavitù e conducendolo alla libertà nella terra promessa.
Ma se questo era dunque un titolo di Dio, certamente destò scalpore Gesù quando lo attribuì a sé stesso: “Io sono il buon pastore”, abbiamo letto quest’oggi nel brano del vangelo. Gesù in questo si mostra particolarmente innovatore: un uomo che attribuisce a sé un titolo che appartiene a Dio. Perciò, noi che seguiamo il Signore Gesù, dobbiamo da lui lasciarci guidare, lasciarci condurre nella vita e così compiremo sicuri un cammino di liberazione che ci affranca da ogni schiavitù. Innanzitutto da quella del peccato, ma anche da leggi, tradizioni e usi umani che rendono l’uomo prigioniero e incapace di cercare nella relazione personale con Lui la vera felicità della propria vita.
Gesù buon pastore è dunque l’immagine stessa di Dio che ama le sue creature e le porta al pascolo, le porta a salvezza, cerca le smarrite, cura le ferite. Lui per primo per le sue pecore è disposto a dare e di fatto ha donato la vita. Gesù stesso, infatti, attribuendo a sé questo titolo attesta che la vita non gli è stata tolta, ma lui stesso l’ha offerta spontaneamente per le pecore, facendo sua in tutto la volontà del Padre.
Se rileggiamo con attenzione il testo notiamo sicuramente che questa espressione “offrire la vita” viene ripetuta spesso in questa pagina del vangelo: dobbiamo credere fermamente che la morte in croce non è tanto l’esecuzione di una condanna iniqua, ma è un’offerta, è il compimento della sua libera volontà: è lui che ha voluto manifestare il suo amore di fratello nostro e di Figlio del Padre offrendosi e abbandonandosi a lui. Egli porta con sé in questa offerta trasformante tutto ciò che è suo, dunque tutti coloro che, aderendo a lui con la fede, sono diventati uno con lui, insomma, tutti noi!
Gesù, dicendo: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, esprime il suo desiderio di realizzare una relazione profonda con ciascuno di noi. Sappiamo bene che nel linguaggio biblico la parola conoscere vuol dire relazione profonda, intima. Si tratta di una relazione che penetra nella singolarità irripetibile di ciascuno di noi e perciò ci consente di chiamarlo per nome con l’accento che solo si può avere verso un padre o una madre. E così è la conoscenza che il Creatore ha delle sue creature, le quali conoscono a loro volta il Signore perché nel sacrifico della croce hanno visto con i loro occhi l’amore che egli ha per ognuno. Ma Gesù poi apre uno scenario ancora più incredibile quando aggiunge: conosco le mie pecore “come il Padre conosce me e io conosco il Padre”; egli cioè ci ama con lo stesso cuore con il quale ama il Padre: la tensione che lo muove verso di noi, sue creature, è la stessa che fa vibrare la Trinità, l’amore con il quale circonda coloro che hanno creduto in lui è l’Amore vivo di Dio, il suo Santo Spirito effuso in abbondanza nei cuori.
Noi dobbiamo saper leggere la storia che viviamo e prendere atto che la brutalità con cui il principe di questo mondo fa scempio del gregge del Signore è davvero sempre in azione. Perciò oggi, dinanzi a questo vangelo tutti dobbiamo per un verso rinnovare il nostro proposito di essere vigilanti nel non allontanarci mai dalla guida di Gesù nostro divino pastore, perché solo in lui troviamo sicurezza e salvezza, diversamente il pericolo di perderci è davvero grande! Ma per altro verso dobbiamo rinnovare la fiducia di essere ben al sicuro tra braccia del Divino Pastore, che non permetterà mai che il suo gregge possa perdersi del tutto perché finisce nelle grinfie del nemico.
Ormai da tanti anni, la Chiesa chiede a noi cristiani di vivere nella IV domenica della Pasqua la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, tutte le vocazioni, siamo alla 58ª. E noi, dunque, volentieri uniamo la nostra voce a questo immenso coro che si leva oggi da tutto il mondo cristiano, perché tutti possiamo diventare capaci di essere fedeli alla vocazione che il Padre ci ha donato in Cristo, quella di essere “figli nel Figlio”, capaci di diventare tutti, nella diversità e varietà delle varie vocazioni, tutte importanti e belle, copia conforme di Gesù, il figlio, il modello a cui tutti dobbiamo ispirarci nel costruire e nel condurre la nostra vita di credenti e costruire così un mondo di figli!