Omelia Passione del Signore

07-04-2023

Letture:
Is 52,13-53,12
Dal Sal 30 (31)
Eb 4,14-16; 5,7-9
Gv 18,1–19,42

Abbiamo letto il racconto della Passione di Gesù che ci ha lasciato S. Giovanni. Appena domenica scorsa abbiamo letto il racconto di S. Matteo. Sono gli stessi avvenimenti, però la sensibilità di S. Giovanni ha colto in quegli avvenimenti alcuni particolari e noi cercheremo di coglierli con la riflessione. Davvero la Passione di Gesù è un mistero così grande che le nostre parole sono sempre piccole, insufficienti. E tuttavia le dobbiamo dire, le nostre parole, ci dobbiamo accostare a questo mistero, dobbiamo riflettere insieme.

La prima riflessione che vorrei presentare a me e a voi, è il fatto che Giovanni nota con grande lucidità, la decisione di Gesù di andare incontro alla Passione. Mentre i testi di Luca, Marco e Matteo ci presentano un Gesù quasi sconfitto fin dall’inizio della Passione, subisce il tradimento, subisce gli insulti, subisce il processo, subisce la condanna, subisce la morte, il racconto di S. Giovanni invece ci presenta Gesù che va, Lui di spontanea volontà, di fronte alla morte. É Lui che offre la vita; è Lui che la dona. Gesù non è morto perché gli è capitata una sventura, Gesù è morto perché ha deciso di offrire la vita per noi. E questo si nota fin dalle prime battute del racconto, quando ci viene presentato l’arresto di Gesù, S. Giovanni dice queste parole: Gesù, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse: “Chi cercate?”. Si fece innanzi. Gesù non fugge, si fa avanti, affronta il sacrificio, ha scelto di sacrificarsi per noi; non lo subisce con rassegnazione: lo sceglie, lo decide!

Un altro aspetto del racconto della Passione di Gesù, che ci viene presentato da S. Giovanni, è il processo. Gesù di fronte a Pilato. Pilato fa delle domande, ma anche Gesù a sua volta fa domande, parla, dissente. Questo dimostra che, in fondo, l’accusato in quel processo non è Gesù ma Pilato, con tutto ciò che Pilato rappresenta. Il vero giudice di quel processo è Gesù mentre sotto accusa in quel processo, nel processo della vita siamo noi. Perciò, cari fratelli, lasciamoci giudicare da Gesù, lasciamo che sia Gesù a puntare i suoi occhi nei nostri occhi e ci chieda e ci dica: “Che stai facendo della tua vita?”. Lasciamo che sia Gesù a stendere il verbale di questo processo. Un verbale che, se anche sottolinea le nostre tante mancanze e i nostri tanti errori e peccati, non si chiude con la condanna. È un verbale che si chiude con il condono perché c’è qualcun altro che ha pagato per me e io di fronte al Crocifisso solo una cosa posso e devo fare: arrossire di vergogna per aver ridotto il Figlio di Dio in quelle condizioni. Ma oggi, lo sappiamo, non si arrossisce più per niente.

Ancora, un altro aspetto della Passione di Giovanni che vorrei sottolineare è il momento in cui, dopo aver fatto flagellare Gesù, dopo averlo martoriato di lividi, di sputi, di insulti, dopo aver dato a con la corona di spine e il manto di porpora, lo presenta alla folla inferocita con queste parole: “Ecco l’uomo!”.

Pilato non poteva sapere quel giorno, quella sera che stava proclamando la verità più alta della storia, di tutta la storia, di sempre. “Ecco l’uomo!”. Ecco come è ridotto l’uomo a causa del peccato! Ecco come si riduce l’uomo quando manca l’amore! Allora quella parola di Pilato diventa condanna per noi: “Ecco l’uomo!”. Ecco come si riduce una famiglia quando manca l’amore! Ecco come si riduce un’amicizia quando manca l’amore! Ecco come si riduce una vita quando manca l’amore!

Quella larva d’uomo che è Gesù è l’icona più chiara della storia del mondo: storia di peccato, storia d’ingiustizia, storia di violenza, storia di egoismo. Quando l’uomo è ridotto in quello stato, quello è il segno che abbiamo toccato il fondo. E dal fondo da soli non possiamo più risalire ma occorre la mano di Dio. Ecco la salvezza che ci viene dalla croce: “Ecco l’uomo!”. Questa parola è proclamazione di Vangelo, di salvezza. È come dire all’uomo “vedi come ti sei ridotto? Perché ti sei ridotto così? Perché rifiuti di amare il tuo Signore? Perché rifiuti di seguire la Sua legge? Perché vuoi fare di testa tua? Vedi poi come ti riduci?”.

“Ecco l’uomo!”. Questa parola non è rivolta soltanto a Gesù Cristo quel giorno, nel pretorio, da Pilato. Questa parola è rivolta ad ogni uomo che soffre a causa dell’ingiustizia, dell’egoismo.

Il Crocifisso da portare in processione sarà proprio questa immagine che portiamo nel cuore: Quanti ce ne sono nelle nostre strade, anche nella nostra città! Quante situazioni di ingiustizia, quante situazioni di cattiveria, quanto dolore, quanto male! Questo è il Venerdì santo!

Quello che noi facciamo nel rito è memoria di un Venerdì santo ormai passato, lontano nel tempo e riscattato dalla Resurrezione. Ma il Venerdì santo della vita non è ancora finito, ci sono ancora troppi carnefici a perseguitare i giusti, c’è ancora troppo egoismo a proclamare queste terribili parole: “Ecco l’uomo!”.

Vogliamo augurarci ai piedi della croce di non essere mai complici del male e se per caso è successo mettiamoci ai piedi della croce e chiediamo che il sangue di Cristo ci bagni, ci purifichi, ci riscatti, ci restituisca alla vita trasformati, con una voglia immensa di cambiare, di tornare ad amare perché è l’unico modo di essere uomo. L’uomo è fatto per amare e quando non ama non é più uomo.

Nel mondo di oggi si raggiungono – lo sappiamo, lo vediamo dalla cronaca – livelli di bestialità che ci fanno spavento; una umanità che ha nel suo seno certe cose davvero deve tremare, perché una tale umanità chissà se lo ha un futuro. Ma noi credenti diciamo che il futuro c’è, lo crediamo fermamente a dispetto di tutto ciò che ci risuona nelle orecchie, di tutto il male che urla intorno a noi. E il riscatto è proprio quel Crocifisso, quell’Uomo in croce per noi, al posto nostro.

E l’ultimo pensiero che ricavo dal Vangelo della Passione di S. Giovanni sono proprio le ultime battute poco prima che Gesù morisse: “Donna, ecco tuo figlio!”. E al discepolo che Egli amava: “Ecco tua madre!”. È l’ultimo dono che Gesù fa: sua madre. Perché sa che un figlio che cresce e che sbaglia ha bisogno della tenerezza della madre per riscattarsi. Il dono più alto, l’ultimo. Gesù non aveva più nulla da dare, nemmeno uno straccio. L’ultimo dono: la madre. “Ecco tua madre!”. È come se Gesù avesse voluto dire a quel discepolo quel giorno e a noi stasera: “Ecco tua madre! Fatevi guidare da lei. Fatevi accogliere da lei quando peccate. Fatevi incoraggiare da lei quando non avete più speranza.”

La madre di Gesù è il dono che ci fa capire che non c’è vita di fede senza la maternità di Maria: la maternità della Chiesa. Maria in fondo è l’immagine di una grande madre dal grembo immenso che genera figli alla grazia: la Chiesa, la Madre-Chiesa. Dalla croce Gesù non ha dato solo Maria, ha dato anche la Chiesa come madre ai suoi figli. Dicendo: “Ecco tua madre!”, Gesù ha voluto dire: “Ricordati che non puoi avere Dio per padre se non avrai una Chiesa come madre”. La famiglia deve essere completa: ci vuole il padre, ci vuole la madre. E la madre di tutti è la Chiesa, santa e peccatrice insieme, piena di slanci e momenti forti, piena di debolezze e di miserie. È la Chiesa la Sposa amata da Cristo, sgorgata dal suo costato.

Pensieri dunque che scaturiscono dal racconto di S. Giovanni e che accompagnano la nostra riflessione sulla Passione di Gesù che è, lo ripeto ancora, la passione dell’uomo che soffre, perché nel mondo non c’è l’amore. E Gesù invece, morendo in croce, ci fa capire che solo l’Amore riscatta il mondo: lo guarisce.