Omelia Veglia Pasquale nella Notte Santa

08-04-2023

La celebrazione della Veglia pasquale è il centro, è il cuore della vita della Chiesa e della nostra fede. Davvero quello che accade in questa notte è così grande, è così bello che, ad un certo punto, ci si accorge che le parole non bastano per manifestare il mistero del Signore. Ed ecco che la Chiesa, consapevole di questo, si fa aiutare per annunciare il mistero della Pasqua da alcuni segni perché certe volte i segni dicono di più delle parole; i segni provocano delle suggestioni, delle sensazioni, delle emozioni… Proviamo per esempio a raccontarci un po’ il segno della luce, la prima parte della nostra celebrazione: chi di noi non ha sentito un certo fremito nel cuore nel momento in cui nel buio totale dell’assemblea abbiamo visto quell’unica luce, la luce del cero? “Cristo, luce del mondo”: due parole ma un effetto immenso, una luce che splende nelle tenebre. E abbiamo visto questa luce avanzare, sfondare le tenebre della nostra cattedrale fino a che da questa luce del cero pian piano si sono accese le nostre luci e ciascuno ha dato luce all’altro. Vedete la potenza, l’efficacia dei segni: noi abbiamo attinto la luce, i primi, quelli che stavano più vicini e poi i primi pian piano l’hanno data agli altri e poi gli altri l’hanno data… Ecco, nel giro di pochi minuti, la Chiesa non era più buia, ma era illuminata: tante candeline, una accanto all’altra.          Quando c’è buio stiamo male, abbiamo paura, non vediamo il volto del fratello. Ma quando c’è la luce vediamo e riusciamo a vedere nel fratello, in chi ci sta accanto un volto, uno sguardo, una storia, una vita. E ci viene in mente subito la prima lettura, quando, leggendo l’antico racconto della creazione, abbiamo riscoperto la nostra vocazione, la nostra identità: immagine di Dio, figli di Dio. Che cosa stupenda! E poi, ad un certo punto, alla fine, quando abbiamo annunciato per la terza volta “Cristo, luce del mondo”, ecco che la Chiesa si è davvero totalmente, pienamente illuminata. Chi non ha provato un’emozione in quel momento? Le parole erano poche, ma l’effetto del segno è stato immenso.

Il segno della luce: quante cose evoca questo segno proprio nel momento in cui questa umanità sperimenta in maniera tragica la propria fragilità – lasciatemi dire – la propria stupidità, tornando a far guerra in una maniera che sembrava ormai dimenticata. E allora in questo scenario così triste, così penoso, così buio, le tenebre della nostra Chiesa sono metafora, segno delle tenebre della condizione umana, triste, tristissima. Ma non è una tristezza senza luce, non è una tristezza disperata, c’è questo cero che illumina e mentre leggevamo le letture, pensavo che la parola di Dio che abbiamo ascoltato in maniera più abbondante questa notte, andando a ripercorrere le pagine più belle, più significative dell’Antico Testamento, è la luce; è quella la luce della vita, non ci illudiamo, non andiamo altrove, non battiamo strade sbagliate, è quella la luce della vita! La parola di Dio rischiara il cammino, ci fa capire chi siamo, chi dobbiamo essere, dove andiamo, ci fa capire chi è il nostro Dio. E poi i profeti: “Metterò dentro di voi uno Spirito nuovo, sarete veramente il mio popolo e io sarò il vostro Dio”. Com’è bello riscoprire nella notte della Pasqua questo senso di appartenenza: “Io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo”. Non siamo orfani, apparteniamo a Dio e Dio ci appartiene; la nostra storia e quella di Dio sono indissolubilmente legate.

Fra poco un altro segno, l’acqua, segno primordiale, semplicissimo, quell’acqua che dà vita, che purifica, quell’acqua fra un po’ quell’acqua verrà versata sul capo della nostra sorella Marina, che riceve il battesimo e sarà aspersa su di noi che rinnoveremo la nostra fede battesimale, in ricordo di quel giorno in cui tutti fummo battezzati. Riappropriamoci del battesimo, carissimi fratelli e sorelle, di questo dono immenso che il Signore ci ha dato, lasciamoci lavare, lasciamoci inondare da quest’acqua, lasciamoci irrigare nelle aridità del nostro cuore dalla potenza di quest’acqua divina, dalla grazia!

Ecco, dovremmo dunque davvero camminare in una vita nuova, come ha detto San Paolo. Che ci manca? Non ci manca nulla, abbiamo tutto, abbiamo grazia in abbondanza, cascate di grazia. Ed ecco l’ultimo segno, il pane e il vino sull’altare, l’Eucaristia, ancora una volta. Vedete quanti segni! I segni, accompagnati dalle parole, ci ricordano questa verità straordinaria: il Signore è con noi, non ci abbandona.

Gesù appare alle donne, avete sentito nel racconto della resurrezione. Il vangelo di Matteo ci ha raccontato che le donne andarono al sepolcro la mattina presto, lo trovarono scoperchiato, ci fu come un terremoto, e poi un angelo: “Chi cercate? Gesù? No, non è qui. Andate dagli apostoli e dite che è risorto e vadano in Galilea, là li aspetta, là li vedrà.”.

Che significa questa Galilea? È un segno anche questo, è più teologia che geografia. La Galilea al tempo di Gesù era una regione, potremo dire oggi, depressa, era il sud della Palestina, era regione di povertà, di eretici, di malcostume, era regione di peccato… Gesù vuol dire che per trovare il Risorto lo dobbiamo andare a cercare sulle strade del mondo, è lì che Gesù si manifesta. Gesù ci manda in Galilea. Proviamo a pensare: qual è la nostra Galilea? La nostra Galilea è la casa, è la moglie, sono i figli; la nostra Galilea è il lavoro, i colleghi, gli amici, i capi, i sudditi, se così si può dire. Non serve fare la carità a chi è nel dolore, nei guai e poi noi restiamo col cuore di pietra con le persone con cui viviamo tutti i giorni. E così non permettiamo al Signore di farci il cuore nuovo, continuiamo ad essere cattivi, irruenti, violenti, intolleranti, sospettosi gli uni con gli altri… Cominciamo da noi, carissimi! Facciamo Pasqua, fratelli! Facciamola veramente!