Omelia Venerdì Santo

15-04-2022

Letture:
Is 52,13-53,12
Sal 30
Eb 4,14-16; 5,7-9
Gv 18,1–19,42

 

 

Sono sempre tante le riflessioni che scaturiscono dal racconto della passione di Gesù. Io vorrei partire innanzitutto da una delle battute finali del racconto. San Giovanni, che ce l’ha offerto, chiude dicendo così: “Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero perché anche voi crediate”. Questo racconto non è stato composto attraverso un “sentito dire”, o chiacchiere che si fanno agli angoli di strada o nelle case, questo racconto è stato scritto da uno che ha visto, che era presente e che ha visto con gli occhi suoi tutto quello che era successo.

Carissimi, questa prima precisazione non vi sembri inutile o scontata perché è sempre serpeggiante nel pensiero dominante un sospetto, un pregiudizio: che tutto quello che è scritto nei vangeli sono chiacchiere, sono favole, sono cose inventate e invece questo modo di scrivere ci fa capire che non sono proprio per niente chiacchiere, sono cose viste da qualcuno e da più di uno e dopo che sono state viste si sono impresse nel cuore, nella mente e quando poi Gesù è risorto sono diventate racconto. Ma perché è stato scritto questo racconto? Solo per raccontare una storia triste che faccia piangere un po’ di gente compreso noi? No. Ci ha detto san Giovanni che lui ha scritto per un motivo ben preciso: perché anche voi crediate.

Ciò significa che il racconto della passione e morte di Gesù deve suscitare in noi la fede, sicché noi oggi non siamo semplicemente ascoltatori di una vicenda triste. Ascoltarla con atteggiamento di fede significa far sbocciare in noi una fede più forte, più intensa, più convinta. Sì, nel vedere il Figlio di Dio che muore in croce per me, per noi, davvero le parole a un certo punto vengono meno e lasciano spazio alle lacrime ma non lacrime di pietà per un povero cristo che ha fatto quella brutta fine, no. Si tratta di lacrime di compunzione, di pentimento perché tutta questa tragedia è il frutto del peccato dell’uomo e quindi del nostro peccato.

Quando Pilato ha presentato Gesù alla folla inferocita l’ha presentato con una parola apparentemente scontata come se non avesse altro da dire e invece Pilato senza esserne consapevole ha proclamato in quel momento la verità che ci chiama all’atto di fede, lui ha detto: “Ecco l’uomo”. Non poteva nemmeno immaginare Pilato quanto fossero sacre e vere quelle parole: Ecco l’uomo, ecco come il peccato ha ridotto il Figlio di Dio e dunque, ecco come il peccato ha ridotto l’uomo, ogni uomo, tutti gli uomini. Tante volte nella nostra vita, quella personale, quella familiare, noi incrociamo la sofferenza e di fronte alla sofferenza la fede vacilla, siamo in crisi, disorientati, ci mettiamo anche a recriminare con Dio, dicendo che non doveva farci questo.

Ebbene, quando incrociamo la sofferenza noi facciamo l’esperienza della croce come l’ha fatta Gesù e non c’è da dar colpa a Dio, c’è da dar colpa invece all’umanità che proprio a causa del suo peccato ha reso la vita brutta, piena di dolore e di sofferenza. Come Gesù quel giorno così oggi, ancora tanti, tanti sofferenti, tanti soffrono, tanti innocenti soprattutto. Vorremmo quasi citare alcuni terribili fatti che sono sotto i nostri occhi e che ci hanno scosso tutti in questi ultimi giorni. Quanti innocenti! Vien da dire: “Dio dov’è? Ma perché Dio permette tutto questo? Ma perché Dio non fulmina tutti i violenti in tempo, prima che facciano danni terribili, prima che facciano soffrire tanti innocenti?”. Questi perché ci assalgono, ci disturbano, ci fanno star male. Qual è la risposta? Non ce n’è purtroppo. Non ci sono risposte. La risposta è Cristo in croce, la risposta sono quelle parole che ha pronunciato Pilato: “Ecco l’uomo”. Non c’è da dar colpa a Dio, c’è da dar colpa a noi che con le nostre cattiverie, con il nostro egoismo, con il male che tante volte invade il nostro cuore, noi costruiamo un mondo cattivo, noi facciamo un mondo brutto, noi mettiamo in azione meccanismi diabolici che poi diventano sofferenza ingiusta proprio per gli innocenti, proprio per chi non c’entra niente.

Come cambierà questo mondo? Quante volte ci siamo fatti questa domanda con il timore, con la paura che sia una domanda retorica perché la risposta è scontata, è negativa: “No, non cambia. Ormai è sempre peggio. Dove andremo a finire?”. Quante volte abbiamo detto queste cose! Ecco, Gesù in croce ci dà non soltanto una testimonianza altissima di amore – lo abbiamo meditato in abbondanza nei giorni scorsi – ma, se così possiamo dire usando un linguaggio scolastico, Gesù ci indica la metodologia di come si cambia il mondo. Se ad una violenza, se ad un’ingiustizia si risponde, con la scusa di far giustizia, con un’altra violenza, ebbene, la giustizia non verrà mai, è inevitabile perché la violenza, sia del singolo individuo, sia dello stato, sia che è una violenza giustificata anche da una divisa o da una regola o da una legge, o da un ordine ricevuto, la violenza è sempre violenza e inevitabilmente genera altra violenza.

Allora Gesù ci ha dato una nota di metodologia, non ha risposto alla violenza con altra violenza: l’ha subita, l’ha accettata, l’ha offerta al Padre con amore nel silenzio. Proviamo a pensare, sarà un sogno ma almeno il venerdì santo concediamocelo questo sogno, proviamo a pensare: se tutte le volte che c’è una violenza, la risposta non è violenta ma pacifica, probabilmente il mondo sì che sarebbe diverso! Quanta violenza nei nostri giorni! Siamo veramente atterriti, spaventati. Eppure Gesù in croce ce la dà la soluzione, siamo noi che non ci crediamo, siamo noi che abbiamo paura a cimentarci con quel tipo di risposta, siamo noi che non abbiamo fiducia in Lui. Lui ci ha detto cosa fare: sta a noi accettarlo o rifiutarlo. Ma ecco un’ultima riflessione che in qualche modo le comprende e le racchiude tutte. Nel vangelo di Giovanni, diversamente dai racconti di Marco, Luca, Matteo, vediamo un Gesù più deciso, un Gesù che non subisce, un Gesù che si fa intraprendente, non un Gesù che si lascia quasi strattonare senza reagire, ma un Gesù che si offre. All’inizio quello di Giuda è presentato sì come tradimento ma è Gesù che prende l’iniziativa: “Chi cercate? Sono io”, e quando quelli sembrano un po’ spaventati Lui ripete: “Sono io, sono io. Prendetemi”. Addirittura di fronte a Pilato rivolge lui domande. Quando mai un condannato si permette di far domande, eppure Gesù mette Pilato in difficoltà: “Dici questo da te oppure te l’ha detto qualcun altro?”. Pilato che non capisce nulla di questa storia dice: “Che vuoi da me? Di’ quello che hai fatto! Facciamo presto, sbrighiamo questa brutta faccenda, ho da fare”. Sembra, nel testo che abbiamo letto, che il condannato, l’uomo sotto giudizio non è Gesù, ma sono io, siamo noi, e il vero giudice non è Pilato, è Gesù che ci giudica perché Lui è stato capace di amare fino a questo punto, perché Lui ci ha indicato come dobbiamo fare, ebbene Lui ci giudica se non lo facciamo, Lui ci mette a nudo nella nostra incapacità di accettare fino in fondo la logica dell’amore, la logica della croce, la logica della non violenza. E dunque che Dio ci perdoni se celebriamo con tanta commozione la morte del suo Figlio Gesù ma poi non siamo veramente capaci di tirarne tutte le vere conseguenze per la nostra vita di credenti.